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La Cassazione conferma la fallibilità delle partecipate

di Federico Gavioli

La società in house può essere dichiarata fallita: è quanto affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 3196 del 7 febbraio 2017, che ha confermato la fallibilità di una Srl partecipata da un Comune e avente a oggetto la gestione e manutenzione del patrimonio immobiliare sia proprio che del socio pubblico.

I contorni della vicenda
Occorre preliminarmente evidenziare che i termini di diritto pubblico corrispondenti sono, ratione temporis, anteriori alla rinnovata legislazione in tema di appalti (varata con il Dlgs 18 aprile 2016 n. 50) e di società pubbliche (Dlgs 19 agosto 2016 n. 175); la questione riguarda la fallibilità o meno di una società, costituita secondo le forme della società a responsabilità limitata, affidataria da parte dell'ente territoriale pubblico partecipante di plurimi servizi di gestione del relativo patrimonio, nell'ambito di “un rapporto disputato quanto alla prossimità al controllo analogo, proprio delle società in house”.

La ricostruzione normativa della Cassazione
La Corte di cassazione ritiene che, in conformità al precedente orientamento giurisprudenziale espresso con la sentenza n. 22209 del 2013, deve esser ribadito il principio per cui «In tema di società partecipate dagli enti locati, la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.». Il Legislatore ha avuto modo di chiarire, all'articolo 4, comma 13, del Dl 95/2012 (cosiddetta spending review, vigente all'epoca della dichiarazione di fallimento Trib. e poi abrogata, per il periodo d'interesse, dal Dlgs 19 agosto 2016 n. 175), la sussistenza di una norma generale di rinvio alla disciplina codicistica, secondo cui «le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina dettata dal codice civile in materia di società di capitali». Essa poi è stata ripresa dal nuovo articolo l, comma 3, del Dlgs 175/2016, il quale afferma che «per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato». L'articolo 14 del Dlgs 175/2016, infine, con una disposizione che prende atto di un indirizzo maturato nella giurisprudenza , ha a sua volta precisato che «Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 2 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39 ».

Il profilo pubblicistico delle società in house
Per la Corte di cassazione il profilo pubblicistico della società in house, in cui l'ente pubblico esercita sulla società un controllo analogo, quantomeno per prerogative e intensità, a quello esercitato sui propri servizi e uffici, appare ispirato, in realtà, dal mero obiettivo di eccettuare l'affidamento diretto (della gestione di attività e servizi pubblici a società partecipate) alle citate norme concorrenziali, ma senza che possa dirsi nato, a ogni effetto e verso i terzi, un soggetto sovraqualifìcato rispetto al tipo societario eventualmente assunto. Su tale società, in questi casi, per quanto intesa come articolazione organizzativa dell'ente, ove posta in una situazione di delegazione organica o addirittura di subordinazione gerarchica, alla luce di una disamina materiale, si determina solo una responsabilità aggiuntiva (contabile) rispetto a quella comune, secondo i dettami della decisione di Cassazione n. 26283/2013, poi ripresi dall'articolo 12 del Dlgs 175/2016, ma senza il prospettato effetto di perdere l'applicazione dello statuto dell'imprenditore. Le norme speciali volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non possono dunque incidere sul modo in cui essa opera nel mercato, né possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell'affidamento di terzi contraenti previste dalla disciplina civilistica. Per la Cassazione anche nella vicenda non è pertanto invocabile, a fronte della partecipazione dell'ente pubblico, un procedimento di riqualificazione della natura del soggetto partecipato, nemmeno all'insegna della categoria, di volta in volta da disvelare, di una società di diritto speciale. Come detto, solo quando ricorra un’espressa disposizione legislativa, con specifiche deroghe alle norme del Codice civile, potrebbe affermarsi la realizzazione di una struttura organizzata per attuare un fine pubblico incompatibile con la causa lucrativa prevista dall'articolo 2247 del Codice civile, con la possibile emersione normativa di un tipo con causa pubblica non lucrativa. In difetto di tale intervento esplicito, il fenomeno resta quello di una società di diritto comune, nella quale pubblico non è l'ente partecipato bensì il soggetto, o alcuni dei soggetti, che vi partecipano e nella quale, perciò, la disciplina pubblicistica che regola il contegno del socio pubblico e quella privatistica che attiene al funzionamento della società, convivono. E se è vero che l'ente pubblico in linea di principio può partecipare alla società soltanto se la causa lucrativa sia compatibile con la realizzazione di un proprio interesse (secondo norme e vincoli resi più stringenti dal Dlgs 175/2016), una volta che comunque la società sia stata costituita, l'interesse che fa capo al socio pubblico si configura come di rilievo esclusivamente extrasociale, con la conseguenza che le società partecipate da una pubblica amministrazione hanno, comunque, natura privatistica.

Le conclusioni
Per la Corte di cassazione le società a partecipazione pubblica sono assoggettate a regole analoghe a quelle applicabili ai soggetti pubblici nei settori di attività in cui assume rilievo preminente rispettivamente la natura sostanziale degli interessi pubblici coinvolti e la destinazione non privatistica della finanza d'intervento; sono invece assoggettate alle normali regole privatistiche ai fini dell'organizzazione e del funzionamento e sono, pertanto, soggette alle regole privatistiche, compresa la disciplina del fallimento e concordato preventivo.

La sentenza della Corte di cassazione n. 3196/2017

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