Amministratori

È nulla la cartella notificata via Pec con l’allegato in pdf

Alla vigilia dell’entrata in vigore della norma che, dal prossimo 1° luglio, consentirà anche alle Entrate di notificare gli accertamenti via Pec (articolo 7-quater, Dl 193/2016), prendono forma le prime pronunce sulle notifiche da parte di Equitalia che – già da tempo – utilizza la modalità telematica. L’ultima, in ordine di tempo, è la sentenza 1023/1/17 della Ctp Milano (presidente Roggero, relatore Donvito).

La questione
Il nodo della vicenda riguarda l’estensione del file allegato alla Pec, un semplice «.pdf» e non un «.p7m», che rappresenta l’equivalente del primo, ma firmato digitalmente. La società ricorrente contestava la genuinità del documento informatico previsto dall’articolo 20, comma 1, Dlgs 82/2005 e la sua conformità all’originale, come - in un certo senso - accade quando si contesta la conformità all’originale della copia consegnata dal messo.

La decisione
Dopo aver passato in rassegna la normativa (articolo 26 Dpr 602/73, articoli 20 e 71 Dlgs 82/05, Dpcm 22 febbraio 2013 ), la Ctp ha escluso che il semplice «.pdf» possa soddisfare i requisiti di integrità dell’allegato, dichiarando l’invalidità della notifica e, conseguentemente, l’illegittimità della cartella.
La questione ruota intorno all’articolo 149-bis del Codice di procedura civile (Cpc), il quale prevede l’utilizzo della firma digitale da parte dell’ufficiale giudiziario che si avvalga della Pec. Nella sua precedente versione (diversa da quella attuale, entrata in vigore il 3 dicembre 2016), l’articolo 26 non prevedeva l’utilizzo della firma digitale da parte dell’ufficiale giudiziario che si avvalesse della Pec. Fino al 3 dicembre scorso, dunque, l’articolo 26 sulla riscossione ha sempre escluso l’applicabilità di questa norma, senza prevedere l’obbligo di apposizione della firma digitale da parte dell’agente della riscossione. Così come non era prevista nella versione introdotta dal Dlgs 159/2015, relativamente alle notifiche successive al 1° giugno 2016.
A far data dal 3 dicembre, però, l’inciso che escludeva l’applicazione dell’articolo 149-bis Cpc è venuto meno: da quel momento l’agente della riscossione è sempre tenuto ad apporre la propria firma digitale, inviando un file con estensione «.p7m» e non più un semplice «.pdf».
La questione relativa alla mancata apposizione della firma digitale dev’essere valutata alla stregua di una ipotesi di inesistenza stessa della notifica (e non di mera nullità, come tale sanabile dalla proposizione del ricorso). In quest’ottica, in futuro si potrebbe assistere alla riproposizione, nel moderno contesto della notifica a mezzo Pec, di una problematica antica, che la Cassazione ha risolto stabilendo la necessità, in caso di contestazione, della produzione dell’originale nell’ipotesi di notifica a mezzo ufficiale giudiziario (da ultimo, sentenza 23046/16).
In questi casi si potrebbe anche valutare una verifica tecnica sulla conformità del «.pdf» al documento originale: la libera valutazione in giudizio “rafforzata” (contenuta nell’articolo 20, comma 1-bis, Dlgs 82/2005, richiamato dai giudici di Milano) indurrebbe a utilizzare una consulenza tecnica. È quanto accaduto, ad esempio, in una precedente vicenda di qualche giorno fa, su iniziativa di parte (Ctp Savona 100 e 101/1/17).

La sentenza della Ctp Milano n. 1023/1/2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©