Amministratori

Diritto di accesso, il documento «strettamente indispensabile» può vincere la riservatezza

di Pasquale Monea

Dopo la decisione del 6 aprile 2017 n. 460 della I Sezione del Tar Piemonte in tema di rigetto della richiesta di accesso agli atti e congrua motivazione anche il Consiglio di Stato ritorna con la sentenza 1692/2017 sul tema dell'accessibilità dei documenti su una delle questioni più delicate: il rapporto fra il diritto d'accesso e la tutela della riservatezza e il conseguente limite alla riservatezza, in rapporto alla stretta indispensabilità.
La questione è posta a proposito del nuovo comma 7 dell'articolo 24 della legge 241/1990 che, se da un lato specifica chiaramente che «deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici», dall'altro lato precisa «nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale».

Il bilanciamento degli interessi
Sulla questione del bilanciamento in concreto fra accesso e riservatezza la giurisprudenza è apparsa spesso oscillante: si tratta di valutazioni comparative assai difficili e delicate che impongono un'attenta valutazione delle situazioni giuridiche che vengono via via in considerazione. In questo senso la soluzione più lineare pare risiedere in quella possibile “limitazione” dell'accesso cui fa riferimento l'articolo 25 comma 3, unitamente alle ipotesi del rifiuto e del differimento. Nelle interpretazioni della giurisprudenza, peraltro, tale limitazione può consistere nell'utilizzazione della formula “omissis” per quelle informazioni che ricadono sotto l'ombrello di protezione del diritto alla riservatezza.
Sul tema già il Tar Lombardia, Brescia Sezione I con la sentenza 8 aprile 2015 n. 497 in materia di accesso agli atti amministrativi in relazione alla riservatezza che preclude l'accesso, precisa che occorre fare riferimento all'articolo 24, comma 6, della legge 241/1990, il quale sottrae all'accesso i documenti riguardanti la vita privata e la riservatezza tanto delle persone fisiche quanto delle imprese, a protezione (tra l'altro) di interessi industriali e commerciali di cui le stesse siano titolari.
Nel caso di accordi commerciali con soggetti pubblici, le parti private non possono però esigere la riservatezza sull'intero contenuto negoziale, e certamente non sul sinallagma che descrive la composizione dei contrapposti interessi dei contraenti.
La tutela della riservatezza rimane pertanto confinata a quelle informazioni che le parti private forniscono al soggetto pubblico:
• sulla propria organizzazione interna;
• sulle relazioni con parti terze;
• sulle proprie strategie commerciali, purché tali informazioni non siano state utilizzate nell'accordo per pesare la controprestazione del soggetto pubblico. Sotto un diverso profilo, devono poi rimanere riservate:
• eventuali informazioni, relative a persone determinate o determinabili, contenenti dati sensibili ex articolo 4 comma 1-d del Dlgs 30 giugno 2003 n. 196.

La stretta indispensabilità
Interviene sul tema la decisione 1692/2017 del Consiglio di Stato, che valuta il diritto all'accesso finalizzato alla difesa in giudizio, rispetto al diritto alla riservatezza, risolvendo l'apparente conflitto sulla base del principio della cosiddetta «stretta indispensabilità». In altri termini, il parametro della «stretta indispensabilità» previsto all'articolo 24, comma 7, secondo periodo, della legge 241/1990, a livello legislativo, viene contemplato come idoneo a giustificare la prevalenza dell'interesse di una parte – mossa dall'esigenza di «curare o difendere propri interessi giuridici» – rispetto all'interesse di un'altra parte, altrettanto mossa dall'esigenza di «curare o difendere propri interessi giuridici» legati ai dati sensibili che la riguardano e che possono essere contenuti nella documentazione chiesta in sede di accesso. La sentenza ha precisato che l'interesse della parte contrapposta (quella titolare di un dato sensibile o super sensibile) può cedere rispetto a quello di chi ha chiesto l'accesso per propri motivi di difesa – soltanto a cospetto del fatto che il documento di cui si pretende l'ostensione sia «strettamente indispensabile» a costruire e alimentare tale difesa. La Pa deve effettuare in tal caso una valutazione di tale stretta indispensabilità nel modo possibilmente più circoscritto e attento e non, al contrario, sulla base di schematizzazioni formali e astratte. La decisione appare condivisibile nel principio affermato anche se appare consigliabile che le singole pubbliche amministrazioni operino con specifici regolamenti sul tema, delimitando i casi.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1692/2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©