Amministratori

Della cattiva gestione del patrimonio immobiliare rispondono sindaco, assessore e responsabile tecnico

di Anna Guiducci e Patrizia Ruffini

Condanna per sindaco, assessore al bilancio e patrimonio e responsabile dell'ufficio tecnico comunale e assoluzione per i consiglieri comunali chiamati in giudizio per il generalizzato stato di incuria dei beni pubblici, sussumibile nel concetto di mala gestio del patrimonio immobiliare di un Comune. L'incuria che costituisce senza dubbio una grave violazione degli obblighi di servizio incombenti sugli organi comunali, anche in virtù del mancato rispetto del principio di buona amministrazione enunciato all'articolo 97 della Costituzione. Con la sentenza n. 130/2017 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Campania, ha condannato i tre soggetti a risarcire in parti uguali tra loro il danno quantificato in 150mila euro, per aver concesso o comunque tollerato che numerose unità immobiliari venissero date in locazione a canoni irrisori o comunque notevolmente inferiori a quelli di mercato.

La vicenda
Nel corso del giudizio di responsabilità instaurato a istanza della Procura Regionale (dietro segnalazione inoltrata dai consiglieri di minoranza) è stata individuata l'assoluta assenza di una gestione inventariale dei beni da parte del comune proprietario, che ha provveduto, nel corso di molti anni, a prorogare tacitamente i contratti di locazione a canoni notevolmente inferiori a quelli di mercato, intesi questi ultimi come quelli medi ricavati dall'osservatorio del mercato immobiliare. Non meno colpevole appare essere stata la gestione degli immobili adibiti ad edilizia residenziale pubblica, assegnati in assenza di procedure selettive pubbliche e a prescindere dalla prova che la locazione fosse in effetti destinata a soddisfare tali necessità. In alcuni casi l'ente territoriale ha totalmente omesso di compiere le doverose periodiche verifiche circa il possesso degli stringenti requisiti di legge richiesti per occupare tali alloggi, che risultavano pertanto occupati da persone diverse rispetto agli originari assegnatari, oramai deceduti da tempo.
Nel giudizio di responsabilità amministrativa, rammentano i magistrati, vige la regola secondo cui il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato fatto dannoso (articolo 1, comma 2, della legge 20/1994). Si tratta dunque di individuare con precisione quale sia il fatto dannoso nelle fattispecie di danno integrate dal mancato adeguamento di canoni locativi e di appurare se siano stati posti in essere atti interruttivi della prescrizione. Ad avviso del collegio appare preferibile aderire a quell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale il danno da minori entrate conseguenti al mancato adeguamento a valori di mercato dei canoni di locazione matura mensilmente – ovviamente in epoca successiva all'intervenuto rinnovo per mancata disdetta – in occasione del pagamento dei (minori) canoni locatizi da parte del conduttore. Sotto il profilo della sussistenza del danno non può revocarsi in dubbio che le rilevate disparità tra quanto incassato nel corso degli anni dal Comune in questione a titolo di locazione dei propri cespiti immobiliari e quanto si sarebbe potuto invece ottenere a prezzi di mercato integri la fattispecie di danno erariale.

Le responsabilità
Queste evidenti gravi violazioni, ad avviso della Corte, vanno ascritte in primo luogo alla responsabilità del sindaco, atteso che secondo una condivisa giurisprudenza contabile la posizione di vertice rivestita dallo stesso (articolo 50, comma 2, del Tuel), specie in un piccolo centro, impone un obbligo generale di conoscenza sulle questioni più rilevanti con conseguente responsabilità del medesimo per aver assunto un comportamento persistentemente inerte. In secondo luogo di tali violazioni vanno considerati parimenti responsabili, per evidenti ragioni, sia l'assessore al bilancio e al patrimonio, sia il responsabile dell'Ufficio tecnico comunale, in relazione all'ambito delle rispettive competenze. Non sarebbe invece ravvisabile un nesso causale tra l'attività espletata dai singoli consiglieri in seno al consiglio e le omissioni e inerzie considerate. In mancanza di specifiche competenze gestionali nella specifica materia, l'eventuale colpevole tolleranza da parte degli stesso della mala gestio del patrimonio immobiliare da parte dell'apparato amministrativo non può assurgere, in assenza di un obbligo impeditivo dell'evento (ex articolo 40, comma 2, del codice penale) e in mancanza di specifici atti o provvedimenti scientemente diretti ad inserirsi nel processo causale, a condizione necessaria per la produzione del danno.
Ferma restando la relativa responsabilità politica dei consiglieri, neppure la mancata adozione di un regolamento comunale teso a disciplinare la gestione del patrimonio immobiliare, meritoriamente sollecitata da alcuni consiglieri di minoranza, può parimenti essere considerato un anello causalmente rilevante ai fini della produzione del danno, atteso che gli obblighi di servizio cui l'apparato amministrativo doveva attenersi in materia erano già chiaramente delineati dalla legge.
Ai fini della quantificazione del danno, infine, va rilevato che è stata detratta una quota pari al 25% in ragione degli apporti causali riferibili ai vari segretari comunali (non citati in giudizio) che, ad avviso dei giudici contabili, hanno posto in essere condotte causalmente rilevanti ai fini della produzione del pregiudizio economico, venendo meno agli obbblighi di vigilanza sul corretto funzionamento degli uffici.

La sentenza della Corte dei conti Campania n. 130/2017

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