Amministratori

Il centrodestra risale nei grandi Comuni

Le amministrative sono spesso una specie di lotteria. Lo diventano soprattutto quando l'affluenza è particolarmente bassa, come è stato in questo caso. Questa volta il biglietto vincente lo ha pescato il centrodestra. Governava sei dei 25 capoluoghi al voto e ora ne governerà 16. Ma quel che più conta ha conquistato dei “trofei”: Genova, Pistoia, Sesto San Giovanni. Comuni da sempre a sinistra passati al centrodestra. La stessa cosa è successa l’anno scorso con le vittorie del M5s a Roma e Torino. Sembrava che fosse l’inizio di una inarrestabile crescita dei Cinque Stelle nei comuni d’Italia e invece si è visto come è andata questo anno: una unica vittoria di una certa importanza a Carrara. Solo 11 ballottaggi e un totale di 8 comuni conquistati su 160. Pd e alleati ne hanno vinti 52, esattamente come Fi e alleati.

I calcoli
Secondo i nostri calcoli tra i due poli storici è finita dunque in parità, ma il punto di partenza era molto diverso. Pd e alleati partivano da un bottino di 76 comuni vinti nelle precedenti elezioni su 149, tra cui 14 capoluoghi, contro i 40 del centrodestra. Oggi i capoluoghi vinti dal centro-sinistra sono solo 6 e i due schieramenti sono in parità complessivamente.

Lotteria o meno, il centrodestra può certamente essere soddisfatto. Non è una novità che con sistemi maggioritari come quello dei comuni l’unità paga. E il centrodestra è stato capace di presentarsi unito praticamente dappertutto. Qui sta il fattore più importante del suo successo. L’unità è la condizione necessaria per vincere. Ma non basta. Il centrodestra unito ha perso a Padova e a Lecce dove i suoi candidati dopo il primo turno erano in forte vantaggio sui loro rivali di centrosinistra, ma ha vinto a L’Aquila dove il candidato del Pd aveva sfiorato la vittoria al primo turno con il 47,1% dei voti contro il 35,8% del suo rivale. Per vincere ci vuole il concorso di altri fattori nazionali e locali.

Gli ingredienti del successo
Le divisioni del centrosinistra, la scarsa affluenza alle urne, la qualità dei candidati, la capacità di mobilitazione degli apparati locali, i temi “giusti” in campagna elettorale sono gli altri ingredienti del successo. Questa volta hanno giocato a favore del centrodestra. Cinque anni fa, in piena crisi del berlusconismo, avevano favorito il centrosinistra. E anche di questo va tenuto conto nel valutare l’esito complessivo di questa consultazione. Queste comunali si sono tenute in un momento molto difficile per il Pd e il suo leader. È la ruota che gira. La volatilità non è solo un fattore nazionale. Vale anche a livello locale. La disaffezione e il malcontento colpiscono anche chi governa comuni e regioni. In questo contesto tutto diventa contendibile: Genova e Pistoia, come Padova e Lecce. L’alternanza al governo è la norma, non più l’eccezione. Ci sono comuni – Asti per esempio – in cui l’amministrazione uscente non è mai stata riconfermata dal 1993.
Ciò premesso, non c’è dubbio che queste elezioni fotografano lo stato di debolezza del Pd e del centrosinistra. Il partito di Renzi, con i suoi alleati, è arrivato al ballottaggio in 77 comuni e ne ha vinti solo 29. Fi e alleati su 74 ballottaggi ne hanno vinti 40. Una volta il ballottaggio penalizzava i candidati del centrodestra. Oggi non è più così. È il Pd che fa fatica a mobilitare i suoi elettori al secondo turno. Pesano certamente le vicende degli ultimi mesi, dalla sconfitta referendaria alla scissione. Pesa certamente la disaffezione verso chi governa. Manca l’entusiasmo. Ma c’è dell’altro. Una volta il Pd poteva contare su un elettorato fedele che oggi invece è disorientato e demotivato. In queste condizioni il ballottaggio è uno strumento impietoso. È così che si spiegano le sconfitte anche in zone di tradizionale insediamento della sinistra. Fa impressione che in 11 comuni superiori dell’ex “zona rossa” in cui era presente al ballottaggio il Pd abbia vinto solo a Lucca, e per il rotto della cuffia, mentre il centrodestra ne ha vinti 6: Pistoia, Piacenza, Riccione, Civitanova Marche, Todi, Vignola. In più, c’è il fatto che il Pd non riesce ad attirare le seconde preferenze degli elettori i cui candidati sono stati esclusi dal ballottaggio. A Parma, per esempio, i flussi ci dicono che gli elettori del candidato del centrodestra escluso dal ballottaggio o si sono astenuti o hanno votato prevalentemente per Pizzarotti e non per Scarpa.

Le prospettive
Come tutte le elezioni amministrative della Seconda Repubblica anche questa produrrà infinite discussioni sulle prospettive future di chi ha vinto e di chi ha perso. Ma c’è una cosa che conta infinitamente di più. Dopo questa tornata elettorale più di mille comuni italiani hanno una amministrazione che nella stragrande maggioranza dei casi durerà cinque anni. Questo è vero per i piccoli comuni, ma è vero anche per quelli superiori ai 15mila abitanti e per tutte le città capoluogo. Indipendentemente da chi ha vinto e chi ha perso, questo è il dato più importante. Grazie a elezione diretta dei sindaci e a sistemi elettorali maggioritari la stabilità dei governi locali è diventata una realtà, nonostante la spaventosa frammentazione esistente.
Tendiamo a dimenticarlo ma non era certamente così nemmeno ai tempi della Prima Repubblica quando esistevano ancora partiti veri. In che condizioni sarebbero oggi i nostri comuni senza le riforme istituzionali dei primi anni Novanta? Senza quel ballottaggio che a livello nazionale è stato bocciato, ma che per gentile concessione della Consulta è stato salvato a livello locale? La stabilità non è tutto, ma è una condizione necessaria – anche se non sufficiente – di buon governo. Quando avremo regole e istituzioni che la promuovano anche al livello del governo nazionale?

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