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Galleria di Milano, affitti boom per il Comune

Tutti vogliono la Galleria Vittorio Emanuele di Milano. E così, con una messa a reddito da parte del Comune più oculata (e trasparente) rispetto al passato, in dieci anni gli incassi degli affitti per Palazzo Marino sono passati dagli 8 milioni del 2007 agli attuali 30, con prospettive crescenti anche per i prossimi anni (già 2 milioni in più per il 2018).
In totale controtendenza con il mercato immobiliare milanese (e non), i prezzi dei bandi sono schizzati in molti casi alle stelle. Il perché è semplice, soprattutto per i commercianti: conviene stare in Galleria spendendo una cifra alta piuttosto che stare altrove con prezzi più economici. Il trend degli affitti mette in evidenza però anche il fatto che fino a qualche anno fa l’amministrazione comunale non ha sfruttato al meglio le potenzialità del suo patrimonio.
Il nuovo indirizzo politico si può leggere nel documento della Direzione casa, demanio e patrimonio del Comune di Milano, che riepiloga la gestione 2007-2016. «In modo assai pragmatico la valorizzazione è stata avviata focalizzando l’attenzione sulla gestione delle affittanze commerciali del piano terra, in quanto rappresentano il segmento economicamente più rilevante delle affittanze e oltre il 50% giungeva a scadenza tra il 2007 e il 2008».

I maxi rialzi

Prima la giunta Moratti ha introdotto piccoli aumenti negli affidamenti; poi la giunta Pisapia, attraverso bandi veri e propri, ha imposto prezzi più vicini al mercato: così la Galleria è diventata la gallina dalle uova d’oro di Palazzo Marino.
Una decina di casi eclatanti danno l’idea delle potenzialità. A partire dal 2011 sono stati fatti una serie di appalti, con questi risultati: Prada ha vinto uno spazio nel 2013 proponendo 9 milioni all’anno contro una base d’asta di 3,6 milioni; Louis Vitton nel 2012 ha offerto 964mila euro contro i 337mila di base; Sevens Stars Gallerie Italia ha offerto 150mila euro nel 2012 contro gli appena 14mila della base d’asta; Town house ha offerto nel 2013 331mila euro contro gli iniziali 32mila; Luxury Good, che aveva una prelazione su Illy, ne ha offerti 540mila aggiudicandosi lo spazio nel 2016, contro i 367mila di base; Del Vellino ha offerto 351mila euro rispetto agli iniziali 116mila euro; Montblanc ha offerto 209mila euro contro i 93mila iniziali.
E anche nei casi in cui qualcuno decide di rinunciare, è sempre un guadagno per il Comune. È accaduto per esempio con Hugo Boss, che ha vinto uno spazio per 3,4 milioni all’anno su una base d’asta da 977mila euro, a cui però ha rinunciato a favore del secondo classificato, Valentino, il quale ha rinunciato anche lui a favore del terzo, Massimo Dutti, che si è quindi aggiudicato il negozio per 3,1 milioni all’anno.
Ci sono infine casi particolari, come i cosiddetti “locali storici”. Al ristorante Savini è stato riconosciuto questo status, che dà diritto al proseguimento del contratto senza gara; il Bar Salotto e la Locanda del Gatto Rosso attendono invece il giudizio definitivo del Tar. Potrebbero subentrare, in caso di ricorso respinto, Molino6 -678 sas, arrivato a proporre 300mila euro contro i 165mila della base d’asta, e Lupit’as, che offre 720mila contro 289mila.
Oggi quasi il 70% degli spazi è commerciale, mentre nel 2007 non superava il 46%; le abitazioni ora sono lo 0,48%, mentre prima erano il 6 percento.

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