Amministratori

Corruzione senza immunità per indebito esercizio della funzione di europarlamentare

L’immunità non impedisce al giudice di perseguire il parlamentare per il reato dicorruzione per l’esercizio della funzione. Un reato, previsto dall’articolo 318 del Codice penale (legge Severino) che non comporta un sindacato sull’esercizio della funzione se la “condotta” si traduce in accordo tra il corruttore e il parlamentare in cambio di una qualche utilità indebita promessa o concessa.

La vicenda
La Cassazione (sentenza n. 36769, depositata ieri) accoglie il ricorso del Pubblico ministero contro la decisione del Gup di non procedere nei confronti dell’ex deputato dell’Udc Luca Volontè, accusato di aver ricevuto da politici Azeri una tangente di 2 milioni e 390 mila euro per orientare il proprio voto come membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Il sostituto procuratore contestava la posizione del Gup che aveva ritenuto inutile andare in dibattimento, considerando insindacabili, le attività addebitate a Volontè, perché “coperte” da immunità.

La decisione
La Cassazione è d’accordo con il Pm. Per far scattare il reato previsto dall’articolo 318 del Codice penale, basta il “patto” con il quale la funzione pubblica diventa oggetto di un “negozio” dietro compenso “indebito”, a prescindere dall’esecuzione di atti specifici. L’articolo 318, che “punisce” la corruzione nell’esercizio della funzione, si distingue dall’articolo 319 che sanziona la corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio: solo in quest’ultimo caso è infatti, richiesto un sindacato sul contenuto dell’atto. Il nuovo articolo 318, unifica la corruzione “prima” e “dopo” sanzionando allo stesso modo dazioni o promesse per l’esercizio delle funzioni, anche se arrivano dopo il compimento dell’atto d’ufficio. Chiarito che il reato è configurabile anche in virtù del semplice accordo, indipendentemente dall’esercizio della pubblica funzione, per i giudici resta da chiarire se l’attività svolta da un membro del del Parlamento italiano che agisce come membro dell’Assemblea del Consiglio d’Europa può essere considerata pubblico servizio. La Cassazione, partendo dalla ripartizione dei poteri di Montesquieu, arriva ad una risposta affermativa. In base agli articoli 357 e 358 del Codice penale l’attività del rappresentante italiano all’Assemble parlamentare del Consiglio d’Europa è qualificabile come svolta da pubblico ufficiale, o quanto meno da incaricato di pubblico servizio, in quanto esercita anche le funzioni di membro del Parlamento italiano. Il passaggio successivo è capire se c’è l’immunità. E questa volta la risposta è no.
La norma, posta dalla Carta a garanzia dell’autodeterminazione, assicura l’immunità ai componenti di una Camera per gli atti tipici o anche non tipici ma connessi alla funzione parlamentare. Altrimenti prevale la “grande regola” dello stato di diritto. La parola deve passare alla giurisdizione. La sentenza viene annullata e gli atti tornano al Gup . La Cassazione invita a valutare con attenzione il profilo dell’utilità ai fini della qualificazione come “indebita”. Con l’avvertenza però che quando l’attività politica diventa costante composizione di interessi di parte «in tale ambito non può ritenersi rientrare la ricezione di utilità , anche estremamente rilevante, come ad esempio cospicue somme di denaro a titolo personale». In tal caso si è fuori dai compiti di rappresentanza e anche di “compromesso” politico  e si entra nella logica di uno sfruttamento privato dell’altissimo ufficio ricoperto.

La sentenza della Corte di cassazione n. 36769/2017

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©