Amministratori

Il ministero risponde in solido con il medico se il detenuto affetto da Hiv muore in carcere

di Andrea Alberto Moramarco

Il ministero della Giustizia risponde in solido con il medico, in qualità di responsabile civile, per il risarcimento dei danni subiti dai parenti del detenuto affetto dal virus Hiv che sia morto in carcere a causa delle sue condizioni e per via della condotta omissiva del sanitario responsabile della struttura. E ciò vale anche se il processo penale si sia concluso con l'intervenuta prescrizione. Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 18380/2017 della Cassazione, depositata ieri.

Il caso
La complessa vicenda prende le mosse dalla morte di una donna, affetta dal virus Hiv, detenuta presso una casa circondariale siciliana. Il decesso della donna veniva addebitato al comportamento omissivo del medico avente funzioni di responsabile dell'assistenza dei detenuti. Di qui il procedimento penale per omicidio colposo nei confronti di quest'ultimo, con richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali da parte dei parenti della vittima rivolta al medico responsabile, nonché quale coobbligato in solido al ministero della Giustizia.
Dopo i tre gradi di giudizio, la Cassazione aveva dichiarato l'estinzione del reato contestato per intervenuta prescrizione, annullando l'assoluzione disposta in appello e rinviando ad altra sezione della corte territoriale per statuire sulla domanda di risarcimento del danno. I giudici di merito, poi, ritenevano sussistente il nesso di causalità tra il comportamento omissivo del medico e il decesso della detenuta e condannavano così il sanitario al risarcimento dei danni in favore dei parenti della donna, nonché il Ministero coobbligato, disattendendo l'istanza di estromissione dal processo avanzata dai legali di quest'ultimo ai sensi dell' articolo 86 del codice di procedura penale.
A questo punto, il nuovo ricorso per Cassazione con il medico che contestava la valutazione dei giudici d'appello sull'esistenza del nesso di causalità tra la sua omissione e la morte della detenuta e il ministero che chiedeva l'estromissione dalla prosecuzione civilistica del processo, una volta dichiarato estinto il processo penale per intervenuta prescrizione.

La decisione
I giudici di legittimità non accolgono però i ricorsi e pongono la parola fine alla lunga vicenda processuale. Ebbene, quanto all'affermazione del nesso di causalità, la Corte ritiene pacifico che laddove il giudice penale sia chiamato a provvedere ai fini degli interessi civili, costui non deve ritenersi vincolato ai criteri che presiedono all'accertamento del reato, dovendo unicamente far riferimento ai criteri civilistici dell'accertamento del nesso di causalità, meno rigidi rispetto a quelli penalistici. Quanto alla posizione del ministero della Giustizia, invece, la sua esclusione dal processo penale non ha effetti sul versante civilistico della vicenda, posto che nella fattispecie, la difesa del ministero non ha assolto all'onere di completezza del ricorso, dolendosi del fatto che la corte d'appello in sede di rinvio abbia trascurato l'efficacia del provvedimento di esclusione del ministero dal processo penale, disposto dai giudici di merito, senza però fornire alla stessa corte di legittimità elementi per valutare la fondatezza di quanto richiesto. Stante l'inammissibilità del ricorso, rimane quindi la responsabilità solidale tra medico e ministero della Giustizia per l'obbligazione risarcitoria.

La sentenza della Corte di cassazione n. 18380/2017

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