Amministratori

Membri del consiglio comunale sciolto per mafia incandidabili solo se si prova l'influenza sulla gestione

Nessun automatismo perl’incandidabilità dei componenti del consiglio comunalesciolto per mafia. La Cassazione (sentenza n. 19407, depositata ieri), respinge il ricorso del ministero dell’Interno contro la decisione della Corte d’Appello di revocare la dichiarazione di incandidabilità nei confronti di vicesindaco, assessore e presidente del consiglio comunale considerati incandidabili dal Tribunale in seguito allo scioglimento della giunta per infiltrazioni mafiose. Per i giudici di seconda istanza non era dimostrato che gli amministratori non avessero controllato a dovere l’attività amministrativa, nè che avessero fatto azioni indicative di un condizionamento da parte dei clan.

Gli elementi a carico
Troppo vaghi gli elementi a loro carico, ad iniziare dalla partecipazione ad una cena con 200 persone in cui c’erano “guardie e ladri”: appartenenti alle forze dell’ordine e un paio di personaggio in “odore” di mafia. Non bastava l’affinità di uno dei ricorrenti con la figlia di un possibile mafioso, nè il fatto che il padrino di battesimo fosse stato un presunto boss. Anche la frequentazione, da parte di un assessore, di un soggetto indicato come noto esponente mafioso, non regge senza prove di condizionamenti. Il ministero dell’Interno nel suo ricorso aveva valorizzato l’indicazione data dalla prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale il provvedimento di scioglimento (articolo 143, comma 11 del Testo unico Enti locali) non è di tipo sanzionatorio , ma preventivo, ragion per cui «è sufficiente che gli elementi raccolti siano indicativi di un condizionamento dell’attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all’influenza e all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata». E secondo il Viminale gli elementi raccolti avevano la valenza richiesta dalla norma.

La decisione della Cassazione
La Cassazione però è di diverso avviso. I giudici precisano che l’incandidabilità degli amministratori non è automatica, ma richiede una valutazione delle singole posizioni in nome del diritto costituzionale all’elettorato passivo, per verificare che collusioni o condizionamenti abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica. Un controllo che la Corte di merito ha fatto per arrivare a negare il nesso. E questa volta è la Cassazione a citare il Consiglio di Stato, secondo cui i rapporti di parentela tra amministratori ed esponenti della criminalità organizzata, non possono essere indicativi di un collegamento con l’amministrazione rilevante ai sensi dell’articolo 143 del Dlgs 267/2000, se non sono rafforzati da elementi di concretezza. Non serve la prova di una responsabilità personale, anche penale degli amministratori o evidenziare uno specifico intento di assecondare la mafia. bastano gli elementi utili far presumere l’esistenza di influenze sulla formazione della volontà degli organi elettivi. L’individuazione di un rapporto diretto o indiretto tra amministratori e criminalità organizzata può essere desunto anche da circostanze che non legittimerebbero l’esercizio dell’azione penale o l’adozione di misure cautelari nei confronti dei soggetti indiziati di appartenere ai clan, purchè si tratti di elementi concreti, univoci e rilevanti.

La sentenza della Corte di cassazione n. 19407/2017

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