Amministratori

Danno all’immagine della Pa, il giudice contabile non può «ripensare» la decisione penale

di Domenico Carola

La condotta illecita del dipendente viola il diritto alla reputazione e immagine della Pubblica amministrazione. Lo ha stabilito la Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Sicilia, con la sentenza n. 446/2017.

Il caso
Il Tribunale di Palermo con sentenza, successivamente confermata dalla Corte d'Appello condannava un dipendente del comune di Carini per il reato di corruzione impropria, di cui all'articolo 318 del codice penale in quanto aveva ricevuto per sé e per il coniuge una retribuzione non dovuta (consistente nel pagamento di un viaggio e di un soggiorno) da parte della ditta incaricata della raccolta dei rifiuti presso il Comune, al fine di velocizzare i pagamenti dei servizi e delle prestazioni resi dalla predetta società. A seguito della condanna Il Procuratore regionale della Corte dei conti citava in giudizio, a titolo di danno all'immagine, il dipendente chiedendone la condanna al risarcimento in favore del Comune. Riteneva che nella fattispecie sono presenti tutti i requisiti richiesti dalla normativa per la contestazione del danno all'immagine, cioè la sentenza di condanna passata in giudicato e il clamor fori che ha determinato la lesione all'immagine del Comune, riferito alla diffusione mediatica della notizia sia dell'arresto del convenuto, che della sua successiva condanna penale. L'imputato ha depositato una memoria sostenendo che per la sussistenza del danno all'immagine non è sufficiente la sola esistenza del «danno evento», consistente nel fatto reato, ma debba essere provata l'esistenza del cosiddetto «danno conseguenza», consistente nella lesione dell'immagine e dell'onorabilità della Pa, conseguenza diretta della condotta infedele del dipendente.

La decisione della corte
I giudici hanno condannato il dipendente a risarcire il danno non patrimoniale arrecato all'ente in quanto la sua condotta illecita viola il diritto alla reputazione e immagine della Pubblica amministrazione. In base all’articolo 651 del codice di procedura penale, la sentenza penale di condanna ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. Da ciò deriva che risulta, ormai, incontestabilmente accertato che il convenuto si è reso responsabile della condotta, penalmente rilevante, che gli è stata attribuita e che assume, anche sul versante dell'illecito erariale, il carattere doloso, trattandosi di un atto compiuto con la piena coscienza e volontà di compiere un'attività contraria ai propri doveri di servizio. Inoltre, deve in ogni caso rappresentarsi che «la valutazione affidata al giudice contabile non comporta una rimeditazione della correttezza della decisione penale, riguardando, invece, l'accertamento della sussistenza di un effettivo nocumento arrecato al prestigio dell'amministrazione e la congruità della stima del danno da risarcire». E ancora, ribadiscono che il danno all'immagine delle pubbliche amministrazioni, in seguito a una complessa elaborazione che ha visto coinvolti sia la giurisprudenza civile sia quella contabile viene definito quale pregiudizio alla persona giuridica pubblica nella sua identità, credibilità e reputazione.

La sentenza della Corte dei conti Sicilia n. 446/2017

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