Amministratori

Illegittima la decadenza dei consiglieri che non partecipano alla riunione per scelta politica

di Amedeo Di Filippo

La decadenza dei consiglieri comunali non può essere pronunciata qualora abbiano scelto deliberatamente di astenersi dal partecipare alle riunioni del consiglio in un contesto di documentata conflittualità politica tra maggioranza e opposizione. Lo afferma la quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4433/2017.

La vicenda
Viene appellata la sentenza che ha accolto in parte il ricorso presentato da alcuni consiglieri avverso la delibera con cui il consiglio comunale ne ha dichiarato la decadenza in quanto non intervenuti, in modo asseritamente non giustificato, ad alcune sedute consiliari. E questo a ragione del fatto che, nel caso di specie, l'astensionismo, benché superiore al periodo previsto ai fini della decadenza, era stato ritenuto uno strumento di lotta politica a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi da parte della maggioranza. L'appello viene proposto allo scopo di ottenere il risarcimento del danno patito per effetto del provvedimento di decadenza, per il danno all'immagine, per la preclusione a partecipare all'attività consiliare, caratterizzata da importanti iniziative non condivise dagli appellanti, nonché per la perdita di voti in occasione delle successive elezioni.

I principi
La quinta sezione afferma che la decadenza, intesa quale misura sanzionatoria, non può riguardare il deliberato astensionismo di un consigliere comunale che viene esercitato in un contesto di dialettica politica tra maggioranza e opposizione di documentata conflittualità. Peraltro, le circostanze da cui consegue la decadenza vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, valutando attentamente gli aspetti garantistici della procedura anche al fine di evitare discriminazioni nei confronti delle minoranze. L'approdo giurisprudenziale è nel senso che le assenze danno luogo a decadenza qualora la giustificazione presentata sia relegata alla sfera mentale soggettiva di colui che la adduce, così da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi ovvero quando dimostrano con ragionevole evidenza un atteggiamento di disinteresse per motivi futili o inadeguati rispetto agli impegni con l'incarico pubblico elettivo.

Il caso
Non così nel caso di specie, in cui l'astensionismo dei consiglieri era stato preannunciato e motivato in relazione a un asserito atteggiamento della maggioranza che li ha esclusi dalle scelte amministrative più significative. Giuste, dunque, le conclusioni del giudice di primo grado. Infondata, però, la richiesta di risarcimento del danno: non per quello all'immagine, di cui manca la prova del nesso eziologico e che secondo i giudici di Palazzo Spada è stato pienamente ristorato dalla pronuncia caducatoria della deliberazione di decadenza; nemmeno quello per la mancata partecipazione alle riunioni del consiglio, in quanto i consiglieri non sono titolari del bene della vita che affermano pregiudicato e avrebbero potuto attivare gli specifici sistemi di controllo giurisdizionale previsti dall'ordinamento.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4433/2017

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