Amministratori

Niente risarcimento alla vittima dell’incidente che conosceva le cattive condizioni della strada

di Federico Gavioli

Con la sentenza n. 22419/2017, la Corte di cassazione ha respinto la domanda di risarcimento del danno richiesto al Comune da una donna che era caduta in una strada; per i giudici di legittimità le precarie condizioni di quel tratto stradale, note alla persona caduta mentre passeggiava con il suo cane, escludono l'accoglimento della richiesta di risarcimento del danno perché c'è stata imprudenza nel voler passare per quella strada.

Il fatto
I giudici di merito hanno rigettato la domanda proposta da una donna, nei confronti di un Comune toscano, per il risarcimento dei danni subiti per effetto di una caduta in una buca lungo una strada in cattivo stato di manutenzione.
Il Tribunale e la Corte d'appello hanno osservato, infatti, che la donna, che abitava proprio nei pressi del luogo del sinistro e percorreva quotidianamente quel tratto di strada, ben ne conosceva il cattivo stato di manutenzione e le insidie che la stessa presentava; per i giudici del merito, di conseguenza, si era rilevata una scelta imprudente quella di passeggiare con il cane di notte al buio, proprio in quel punto.

La responsabilità degli enti per la manutenzione delle strada
L'orientamento giurisprudenziale lungamente predominante riconduce la responsabilità degli enti per i danni derivanti all'utente per il cattivo stato di manutenzione della strada nell'ambito della responsabilità extracontrattuale (articolo 2043 del codice civile). Questa responsabilità, tuttavia, si configura a condizione che l'evento dannoso dipenda da insidia o trabocchetto ovvero se il bene demaniale presenti una situazione di pericolo occulto non visibile, prevedibile ed evitabile dall'utente con l'ordinaria diligenza.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 1999, ha ritenuto come non violi il dettato costituzionale l'interpretazione dell'articolo 2051 del codice civile che ne esclude l'applicabilità alla Pubblica amministrazione «allorché sul bene di sua proprietà non sia possibile, per la notevole estensione di esso e le modalità d'uso, diretto e generale da parte di terzi, un continuo, efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti».
La norma introduce una «responsabilità presunta» a carico del soggetto che si trovi in una determinata relazione di fatto con la cosa, avendone il potere di «effettiva disponibilità e controllo»; l'onere probatorio gravante sul danneggiato si esaurisce nella prova dei descritti presupposti, incombendo sul presunto responsabile l'onere di dimostrare (diversamente dallo schema generale di responsabilità di cui all'articolo 2043) l'assenza di colpa e, quindi, che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con l'adeguata diligenza, cioè con lo sforzo diligente dovuto in relazione alle circostanze del caso concreto.
Ne consegue la necessità per il danneggiato di dimostrare soltanto l'esistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, spettando all'ente l'onere di provare il fortuito, ossia l'esistenza di fatti straordinari ed imprevedibili in grado di interrompere il nesso causale che lega l'evento lesivo alla cosa.
Sulla responsabilità per danni da strade in custodia, la terza sezione della Cassazione si era ancora pronunciata nel luglio del 2006 (sentenza n. 15383/2006); in tale pronuncia era stato ribadito che la responsabilità per i danni cagionati dalle cose in custodia, per giurisprudenza costante, ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi è sufficiente un nesso causale tra la cosa e il danno arrecato, a nulla rilevando la condotta del custode in quanto la responsabilità per detto fatto è automaticamente imputata a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa. Solo il caso fortuito esclude la responsabilità, in quanto incide direttamente sul nesso causale dell'evento dannoso, riconducibile non alla cosa in custodia ma ad un evento esterno.

L'analisi della Cassazione
Per la Corte di cassazione il ricorso per violazione dell'articolo 2051 del codice civile è inammissibile. I giudici di legittimità condividono la sentenza della Corte di appello secondo cui l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell'articolo 2051 del codice civile, per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo, in passato, di affermare che nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più «questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all'ente e l'evento dannoso». La Cassazione ha ritenuto «non operante la presunzione di responsabilità a carico dell'ente ex art. 2051 cod. civ., in un caso di sinistro stradale causato da una buca presente sul manto stradale, atteso che il conducente danneggiato era a conoscenza dell'esistenza delle buche, per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitarle».

La sentenza della Corte di cassazione n. 22419/2017

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