Amministratori

Danno erariale al consigliere regionale per i rimborsi di spese non «collegate» a funzioni istituzionali svolte

di Giuseppe Nucci

I componenti dei Gruppi consiliari di una regione non solo sono tenuti ad effettuare spese rientranti esclusivamente nelle tipologie previste dalla normativa regionale, ma devono anche dare conto della loro attinenza alle funzioni istituzionali svolte.
È questo il principio ribadito dalla sentenza n. 62/2017 della Corte dei Conti, Sezione per le Marche.

I rimborsi regionali
Il Presidente di un Gruppo consiliare di una Regione veniva sottoposto a procedimento penale per essersi fatto illegittimamente rimborsare delle spese ammontanti a € 31.965,66, con fondi assegnati ad attività istituzionali ai sensi di una legge regionale.
La Procura erariale, al riguardo, contestava al politico di avere rendicontato al Presidente del Consiglio regionale molteplici spese, “in dispregio dei principi di legittimità, coerenza e chiarezza di rendicontazione che devono sussistere nel maneggio di denaro della collettività”, specie con riferimento a quelle spese che, pur essendo documentate in vario modo (tramite bollette, scontrini, fatture, ricevute fiscali, preventivi, buoni di consegna ecc.), risultavano tuttavia prive delle giustificazioni necessarie a dimostrare “l’attinenza” con le finalità “istituzionali”.
In sostanza dal corpo normativo e dalla copiosa giurisprudenza del Giudice delle leggi, della Corte di Cassazione e della Corte dei conti richiamata, la Procura aveva desunto che l’impiego dei contributi pubblici deve ritenersi “vincolato” al perseguimento dell’interesse istituzionale del Gruppo consiliare, con conseguente duplice onere probatorio in capo al soggetto utilizzatore: 1) comprovare la spesa tra quelle tipizzate dalla normativa da imputare al bilancio regionale; 2) giustificarne la finalità istituzionale.

La sentenza
La Sezione ha accolto la domanda della Procura.
Innanzitutto il Giudice ha affermato la propria giurisdizione sulla base: a) del rapporto di servizio onorario instaurato con la Regione, in considerazione della carica elettiva di Consigliere regionale rivestita dal convenuto; b) dell’indiscussa natura pubblica delle risorse economiche impiegate; c) della disponibilità e del “maneggio di denaro pubblico” avente una specifica destinazione funzionale, da parte del Consigliere regionale.
Di seguito il Collegio richiamava le disposizioni vigenti secondo le quali i singoli gruppi erano tenuti ad effettuare esclusivamente spese rientranti nelle categorie indicate dalla legge regionale ed erano tenuti a fornire, entro il 28 febbraio di ogni anno, una relazione contenente la rendicontazione delle entrate e delle spese dell’anno precedente, secondo le direttive impartite dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale.
In relazione a ciò il Collegio – nel ribadire che il consigliere regionale deve godere di ampio margine discrezionale nella scelta delle attività da porre in essere – sottolineava però che l’esercizio di questa discrezionalità sarebbe dovuto emergere in sede di rendiconto evidenziando, tra l’altro, l’attinenza delle spese con le funzioni istituzionali (ad esempio per le spese di ristorazione non poteva assolutamente prescindersi da un’allegazione che ne consentisse il collegamento con la sfera di interesse dell’amministrazione regionale).
In conclusione la Sezione, nel rilevare che il consigliere aveva disatteso il “dovere di “dar conto” delle modalità di impiego del denaro pubblico in conformità alle regole di gestione dei fondi ed alla loro attinenza alle funzioni istituzionali”, affermava la produzione di un pregiudizio erariale direttamente collegato causalmente all’esborso finanziario, indipendentemente dall’intervenuto proscioglimento in sede penale in relazione agli stessi fatti.
Tuttavia il Collegio, nel condannare il convenuto, riduceva equitativamente il danno erariale nella somma di € 12.384,87 tenendo conto sia delle spese che, per loro stessa natura, erano implicitamente collegate alle finalità istituzionali senza la necessità di ulteriori specificazioni (spese di vitto e alloggio collegate alle missioni autorizzate svolte ecc.) che del fatto che al pregiudizio erariale aveva contribuito l’inadeguato controllo sulle spese da parte dei soggetti incaricati delle verifiche interne.

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