Amministratori

Istigazione alla corruzione al consigliere comunale che dà denaro in cambio di voti al collega dell’opposizione

di Andrea Alberto Moramarco

Commette il reato di istigazione alla corruzione per atto contrario ai propri doveri d'ufficio il componente del consiglio comunale che offre una somma di denaro a un consigliere di opposizione per esprimere un parere favorevole all'approvazione di una variante al piano regolatore generale, in maniera tale da avvantaggiare una società edile. Questo è quanto si desume dalla sentenza n. 57228 della Cassazione, depositata ieri.

I fatti
La vicenda giudiziaria prende le mosse dalla denuncia del leader della lista civica di opposizione e membro del consiglio di un Comune laziale al quale un consigliere di maggioranza e l'amministratore unico di una società di costruzioni avevano offerto la somma di 20mila euro per redigere un parere favorevole all'approvazione di una proposta di convenzione urbanistica di attuazione di un piano di lottizzazione, in variante al piano regolatore generale. L'offerta veniva rifiutata e il consigliere di maggioranza veniva condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di istigazione alla corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, previsto dall'articolo 322 del codice penale, mentre alla società edile veniva comminata una sanzione pecuniaria, in base agli articoli 6 e 25 del Dlgs 231/2001 (Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), per avere, in qualità di ente, tratto vantaggio dalla condotta istigativa posta in essere nel suo interesse dall'amministratore unico.
Società e consigliere di maggioranza, tuttavia, ricorrono in Cassazione lamentando il fatto che la decisione di merito sia fondata in prevalenza sulle dichiarazioni del consigliere di opposizione «in posizione di potenziale conflitto di interessi poiché appartenente ad una lista civica esclusa dal governo della città», il quale aveva poi tratto vantaggio dalla vicenda penale diventando Sindaco del paese alle elezioni successive alla fine anticipata della consiliatura. In sostanza, il leader della lista civica non avrebbe dovuto essere ritenuto attendibile e, inoltre, proprio in quanto membro di un partito di opposizione, non avrebbe potuto compiere alcun atto contrario ai propri doveri, non potendo partecipare «al processo di formazione di volontà» della Pubblica amministrazione.

La decisione
Per la Suprema corte, però, tali argomentazioni non colgono nel segno e il verdetto di condanna va confermato, sussistendo tutti gli elementi dell'istigazione alla corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio. I giudici di legittimità affermano, infatti, che per la configurabilità del delitto di cui all'articolo 322 del Cp, «la qualifica di pubblico ufficiale va riconosciuta in ragione dell'attività in concreto esercitata, nella irrilevanza della mancanza di un rapporto di dipendenza con l'ente pubblico». In sostanza, spiega il Collegio, la condotta istigativa può ritenersi integrata a prescindere dalla posizione di maggioranza o opposizione rivestita dal consigliere destinatario dell'offerta illecita e, quindi, anche nei confronti di un «componente di una lista civica rappresentata in Consiglio comunale rispetto all'adozione favorevole agli interessi del privato sollecitatore di un atto consiliare, alla cui formazione il primo partecipi».

La sentenza della Corte di cassazione n. 57228/2017

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