Amministratori

Il silenzio dei partiti sulla Pa del futuro

Una percezione comune riguarda la mancanza di futuro nei programmi elettorali, problema che si aggrava quando si parla della salute di istituzioni e Pa. L’approccio di una politica indebolita dalle logiche di breve termine, nel caso delle riforme della Pa, assume forme patologiche. La riforma del lavoro pubblico, la riorganizzazione degli enti locali, la revisione della spesa, la riduzione delle partecipate, l’eliminazione degli enti inutili, il merito, la qualità e quanto altro promesso sono stati sacrificati quasi sempre negli anni sull’altare del consenso politico immediato. Pochi investimenti e pochi ragionamenti nel medio e lungo periodo: una rinuncia allo sviluppo che può condannare le Pa alla crisi e al fallimento.
Nel caso delle amministrazioni pubbliche non esiste solo il fallimento finanziario o economico, ma anche quello gestionale che sta colpendo oggi molte istituzioni proprio a causa di logiche miopi protratte negli anni.
Difendere il pubblico impiego così come è stato per decenni, anche dopo la privatizzazione e le riforme degli anni ’90, ne sta decretando la morte. Non cambiare l’organizzazione e le logiche di gestione nella Pa ha portato a considerare il lavoro pubblico come un costo, e quindi a introdurre misure di blocco e di tagli indiscriminati. In qualsiasi organizzazione se non si reclutano i migliori e le professionalità nuove e se non si premia il merito, dopo un po’ si è condannati alla paralisi. Politica, sindacati e dirigenza non hanno avuto il coraggio di cambiare il modello di gestione del personale, dopo la riforma del 1993, ma hanno proseguito sul modello burocratico dal punto di vista delle regole e su quello clientelare sul piano delle riforme.

Cambiamento e strategie
Nel frattempo il contesto è cambiato. Il rapporto fra tasse e servizi è certamente peggiorato. In molti ambiti la qualità dei servizi è peggiorata e i cittadini hanno dovuto far ricorso al privato pur pagando molte più tasse. Nella scuola, nella sanità, nei servizi sociali, lavoro, formazione, trasporti, ma anche per la sicurezza è aumentata la spesa privata dei cittadini. Il tutto mentre il settore privato ha intrapreso un forte percorso di innovazione, sfruttando la quarta rivoluzione digitale, per cui i servizi bancari, il commercio, i servizi assicurativi, ma anche salute e formazione sono diventati più competitivi e flessibili. Naturale, quindi, per i cittadini registrare con sofferenza il divario tra la qualità dei servizi pubblici e quelli privati.
I dati appena pubblicati sull’età media e i pensionamenti della Pa non stanno portando a rivedere le strategie. Nessun piano 2030 o 2040, come avviene in Europa, ma misure contingenti di brevissimo periodo o peggio volte a sanare il passato, come le stabilizzazioni dei precari.

Vecchi problemi
Mentre nel settore privato si parla di industria e servizi 4.0, il pubblico è alle prese con i vecchi problemi della presenza, della corruzione, della giustizia amministrativa e così via. In questo senso l’accordo Governo-sindacati del 30 novembre 2016 si è tradotto, come altre volte nel passato, in una coperta per continuare con le politiche di sempre. Le proposte elettorali dei partiti parlano in maniera generica di spending review e di semplificazione, termini che perdono di significato senza un’idea e una progettazione del settore pubblico.
In presenza di risorse scarse e di nuove sfide, occorre saper scegliere. Ma per una politica debole è più facile facile difendere il passato che costruire il futuro.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©