Amministratori

Tangenti, il danno da concorrenza va provato

di Aldo Milone

Nella sentenza 83/2018 la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale del Lazio, fornisce precisazioni importanti sulla latitudine di due specifiche fattispecie di danno erariale: il danno da corruzione e il danno da concorrenza.

Il caso
In particolare, la decisione interviene nel giudizio di responsabilità amministrativa, a carico di un assessore e di un dipendente comunale, riguardante la percezione di tangenti per favorire la prosecuzione (oltre la scadenza contrattuale) dell'attività dell'impresa che effettuava il servizio di raccolta dei rifiuti. Secondo l'interpretazione dei giudici contabili, la tangente configura un danno (da corruzione) in termini diretti alla Pubblica amministrazione in base all'esistenza di un paradigma presuntivo. Più segnatamente, i giudici riconoscono operante la presunzione che la dazione illecita di denaro venga poi recuperata dall'impresa sul valore del contratto di servizio pubblico e si trasformi, quindi, in un maggior costo per l'ente locale. Secondo i magistrati contabili, per lo scrutinio sull’illiceità della proroga contrattuale e l'emersione del danno connesso, assumono significativi profili di responsabilità amministrativa gli atteggiamenti meramente dilatori posti in essere dagli agenti pubblici sulla gara per individuare un nuovo contraente. Queste condotte ostruzionistiche trovando la loro causa proprio nella percezione della tangente finalizzata appunto all'ottenimento della (poi inevitabile) proroga illegittima, integrano i presupposti di imputabilità dell’attore pubblico per il pregiudizio erariale.

La misura del danno
Sulla quantificazione del conseguente danno da corruzione, la sezione Lazio chiarisce che è da valutarsi – in via generale – in misura pari al valore della tangente percepita. Viene, comunque ammessa – in linea teorica – la possibilità di determinare un danno di importo superiore alla somma della corruzione. Una tale opzione è tuttavia consentita solo se è sufficientemente comprovata l'insorgenza di un maggior danno, come – ad esempio – nell'ipotesi in cui la successiva gara di affidamento del servizio comunale avesse dato luogo a un esborso pubblico minore rispetto al contratto illecitamente prorogato.

Danno da concorrenza
Con riferimento all'individuazione dell'altro (concomitante) pregiudizio erariale imputabile, vale a dire il danno da concorrenza, la Corte laziale si discosta dalla determinazione forfettaria – 5 per cento del valore del contratto illegittimamente prorogato – tipica della giurisprudenza amministrativa (applicabile quando questa computa il danno subìto da un'impresa esclusa da una procedura di evidenza pubblica). Secondo i magistrati contabili, la trasposizione di questo pregiudizio quale danno erariale, subìto quindi dall'amministrazione aggiudicatrice, necessita di una maggior consistenza probatoria. Infatti, l'orientamento seguito in materia dalla giurisprudenza contabile non sempre ammette una quantificazione generica di questo danno, richiedendo invece che sussista la prova dell'effettivo impoverimento della Pubblica amministrazione interessata, derivante – ad esempio – dal raffronto con i prezzi di mercato o da altre ipotesi analoghe e confrontabili. In questi casi, il danno alla concorrenza è costituito dalla differenza tra la spesa effettivamente sostenuta dall'amministrazione e quella (minore) che avrebbe potuto ottenere assolvendo l'obbligo della procedura concorsuale. Insomma, secondo la Corte dei conti l'illegittimo affidamento di appalti o forniture in violazione delle norme sui procedimenti a evidenza pubblica non comporta di per sé la manifestazione di un danno patrimoniale. Affinché possa ascriversi una specifica responsabilità erariale da concorrenza è necessario pertanto fornire, in maniera congrua, la prova del danno imputato.

La sentenza 83/2018 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©