Amministratori

La Pa deve pagare il professionista se non dimostra di aver rifiutato i servizi ricevuti

di Federico Gavioli

Va pagato al professionista l'indebito arricchimento se la Pubblica amministrazione non dimostra di aver rifiutato l'opera e i servizi resi. Lo ha deciso la Corte di cassazione con la sentenza n. 7158/2018.

Il caso
La Corte d’appello accogliendo il ricordo di un Comune contro la sentenza del Tribunale, ha rigettato la domanda proposta da un professionista contro il Comune, finalizzata a ottenere il pagamento di un indennizzo, a titolo di ingiustificato arricchimento, per avere quest'ultimo comunque utilizzato i progetti a lui commissionati. Avverso la sentenza sfavorevole il professionista è ricorso in Cassazione.

L'analisi della Cassazione
Di recente le Sezioni Unite della Cassazione, componendo un contrasto simile, hanno statuito che il riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento. Quindi chi agisca nei confronti della Pa ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo, invece, solo eccepire e provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di «arricchimento imposto».
In passato le Sezioni Unite avevano negato che il riconoscimento dell'utilità fosse elemento costitutivo della fattispecie e, nel contempo, avevano esonerato la Pa dagli oneri indennitari di arricchimenti che non le fossero imputabili, in quanto rifiutati o inconsapevoli.
Al pari di quanto avviene nei rapporti tra privati, l'unica prova che l'attore deve offrire a fondamento della sua domanda di indennizzo concerne l'impoverimento e l'arricchimento, oltre che l'assenza di giustificazione dello spostamento di ricchezza e di altre azioni esperibili a tutela del diritto.
Nel caso in esame, tuttavia, la sentenza della Corte territoriale circa l'asserita insussistenza di un vantaggio patrimoniale dell'ente da intendersi, esclusivamente, come acquisto di un bene o di una somma di denaro o, se si tratti di un pubblico servizio, di un miglioramento dello stesso oppure del mantenimento della sua qualità con una spesa minore, non appare corretta. Infatti, ogni qual volta, in presenza di una prestazione obiettivamente vantaggiosa per l'amministrazione - e tale era indubbiamente quella svolta dal professionista ricorrente - essa finisce in concreto per avvantaggiarsene, realizza una appropriazione deliberata della prestazione non dovuta, per averla evidentemente valutata come rispondente ai propri fini e interessi generali.

La sentenza della Corte di cassazione n. 7158/2018

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