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Il sindaco «inerte» sul rischio di crollo non può essere condannato per disastro ambientale

L’inerzia del sindaco che si limita a fare un’ordinanza, disattesa, di sgombero di un’immobile abusivo e pericolante non basta a condannarlo per disastro ambientale. Perché possa essere configurato il reato è necessario che i comportamenti addebitati - tali da mettere in pericolo la pubblica incolumità - siano anche incidenti sull’ambiente. La Cassazione (sentenza n. 29901, depositata ieri) accoglie il ricorso del sindaco e del tecnico responsabile della gestione del territorio, contro la condanna per il reato di disastro ambientale, previsto dall’articolo 452-quater del Codice penale, una norma introdotta dalla legge di riforma 68/ 2015 con l'obiettivo di rafforzare la protezione della salute e dei beni naturali.

Il caso
La Suprema corte annulla, senza rinvio, l’ordinanza con la quale il Tribunale della libertà aveva dato il via libera al sequestro di una via e di due immobili abusivi, costruiti negli anni ’80, ipotizzando a carico del primo cittadino e del tecnico il disastro ambientale. L’accusa era di non essersi attivati a fronte di un concreto pericolo di crollo di fabbricati del tutto abusivi costruiti sopra un canale e dunque ad elevato rischio idrogeologico. Il sindaco non era andato oltre un’ordinanza di sgombero non rispettata da abitanti e negozianti incuranti delle evidenti lesioni strutturali. Un pericolo per la pubblica incolumità, passanti compresi, che aveva indotto il Tribunale ad accogliere la tesi del Pm e a fare l’ordinanza di sequestro contestando ai ricorrenti il disastro ambientale: un reato che per la Cassazione non c’è. I giudici ricordano le tre ipotesi previste dall’articolo 452-quater: alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; alterazione dell’equilibrio dell’ecosistema eliminabile solo con provvedimenti particolarmente onerosi e eccezionali e offesa alla pubblica incolumità, sulla quale pesano l’estensione degli effetti lesivi e il numero di persone coinvolte.
Nel caso esaminato può essere rilevante solo la terza ipotesi, ma anche questa, al pari delle altre due, presuppone che «le conseguenze della condotta svolgano i propri effetti sull’ambiente in genere o su una delle sue componenti».

La decisione
Per i giudici la condotta omissiva degli indagati, che avrebbe messo a repentaglio la pubblica incolumità, non ha il necessario “impatto” sull’ambiente richiesto dalla norma.
Certamente l’abusivismo edilizio incide sul territorio trasformando il suo assetto originario, con conseguenze evidenti sull’ambiente. Nello specifico però, la realizzazione degli edifici risaliva agli anni 80 e, oltre a non poter essere addebitata agli indagati, non è stata indicata come produttiva di conseguenze sull’ambiente. Questo non vuol dire - conclude la Cassazione - che non ci si trovi difronte a una gravissima situazione di illegalità, protratta nel tempo, rispetto a edifici mai sanati ,costruiti su una zona a rischio idrogeologico e mai abbattuti. Ma le ipotesi di reato sono altre e certamente non il disastro ambientale.

La sentenza della Corte di cassazione n. 29901/2018

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