Amministratori

Il danno quantificato dalla sentenza può essere «modificato» nel giudizio di ottemperanza

di Romina Cauteruccio

È consentito derogare ai criteri per la quantificazione del danno dettati da una sentenza ex articolo 34, comma 4, Cpa nel successivo giudizio di ottemperanza instaurato in caso di mancato accordo delle parti. È quanto afferma, con una pronuncia non completamente condivisibile, il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 3872/2018.

Il caso
All’esito di un contenzioso tra il Comune di Firenze e una Srl viene pronunciata la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 19 marzo 2007, n. 1307, con la quale è annullato il diniego del Comune al rilascio dell’autorizzazione sanitaria per l’attività di produzione di birra artigianale in uno con l’ordine, adottato dal medesimo Comune, di riduzione dell’orario di apertura dell’esercizio commerciale destinato alla vendita della birra. La sentenza ordina all’Amministrazione comunale di quantificare una somma da proporre a titolo di risarcimento del danno, ex articolo 35, comma 2, Dlgs 1998 n. 80, entro il termine di novanta giorni decorrenti dalla comunicazione o dalla notifica della decisione.
I criteri per calcolare il risarcimento del danno consistevano in:
1) in relazione al danno derivante dall’illegittimo diniego di autorizzazione, doveva essere considerato il profitto medio giornaliero conseguito durante il primo anno di attività dell’esercizio;
2) in relazione all’ordine di riduzione dell’orario, il profitto medio giornaliero doveva essere proporzionalmente rapportato alle ore di illegittima chiusura del locale.
Le parti hanno raggiunto un accordo con riguardo all’applicazione del secondo criterio ma non del primo poiché l’Amministrazione ha interpretato il concetto di «profitto medio giornaliero» nel senso di «differenza tra costo sostenuto e costo sostenibile per la produttiva della birra» elargendo una somma inferiore a quella ritenuta di giustizia da parte della ricorrente, la quale quindi ha proposto ricorso di ottemperanza ai sensi dell’articolo 34, comma quattro, secondo periodo il Codice del processo amministrativo.

La decisione
Il Consiglio di Stato con la pronuncia n. 3872 del 2018 ha respinto il ricorso ritenendo che i criteri dettati dal Giudice che ha pronunciato la sentenza di cognizione non fossero vincolanti nel successivo giudizio, instaurato a causa del mancato accordo delle parti, richiamando una precedente sentenza dello stesso Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 settembre 2014, n. 4465.
Ha quindi rideterminato tale criterio quantificando il risarcimento del danno sulla base della differenza tra il costo effettivamente sostenuto dall’Impresa nel periodo considerato dalla sentenza per l’acquisto da fornitori terzi della birra da vendere ai clienti, e il costo che avrebbe sostenuto nel medesimo periodo, producendo da sè lo stesso quantitativo di birra venduto alla clientela e, pertanto, ha confermato la validità della quantificazione operata dal Comune di Firenze in sede post-fase di cognizione e passato in giudicato della sentenza.

L’approfondimento
La sentenza in commento, cioè, fonda una propria conclusione sulla base di un precedente peraltro non consolidato ma piuttosto dubitativo. Ma, soprattutto, tale impostazione urta con il dettato letterale legislativo. La norma di cui all’articolo 34, comma quattro, Cpa sopracitata esplicita infatti che in caso di mancato accordo delle parti, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro I, possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l'adempimento degli obblighi ineseguiti. La norma cioè rimanda in via diretta ed integrale all’istituto del ricorso per ottemperanza e non sembra presupporre, come afferma la sentenza in commento, che si tratti di un giudizio di cognizione nelle forme del giudizio di ottemperanza. Ove avesse così voluto statuire, il legislatore avrebbe usato un’espressione diversa effettuando una rimando non al «ricorso per ottemperanza» bensì al «rito dell’ottemperanza», ad indicare che in caso di mancato accordo delle parti sulla quantificazione del risarcimento, si apre un (nuovo) giudizio di cognizione secondo il rito dell’ottemperanza. Non si comprende, insomma, come la decisione in commento possa ritenersi conforme al dettato legislativo letterale. Se poi guardiamo alla ratio della norma, ancor meno comprensibile appare la sentenza in commento. La logica sistemica della sentenza sui criteri è quella di statuire un meccanismo che, in caso di facoltà nella quantificazione della somma che possa risarcire il danno per equivalente subìto dal ricorrente vittorioso, si possa addivenire ad una definizione transattiva della stessa sulla base di un accordo delle parti in causa, e a tal fine il Giudice, in sede di cognizione, indica determinati criteri che le parti devono seguire per detta definizione. Non si comprende allora perché detti criteri, definiti con sentenza passata in giudicato, possono essere rimessi successivamente in discussione riaprendo così, nuovamente, un contenzioso già definito. In tal modo si trasforma quello che la legge, nel suo significato letterale, qualifica come giudizio di ottemperanza in una sorta di nuovo grado «spurio» del giudizio di cognizione che non trova alcuna ragionevole collocazione nella logica legislativa. Vero è invece che in caso di mancato accordo delle parti sulla somma del risarcimento occorre che un soggetto terzo, ovvero il giudice, effettui la corretta applicazione dei criteri stabiliti dalla sentenza di cognizione senza rimettere in discussione, ma interpretandoli nel loro corretto significato. Tale interpretazione appare la più coerente con la logica che sembra improntare la disposizione di cui all’articolo 34, comma quattro, Cpa.

Conclusioni
La problematica era già stata affrontata dalla stessa Sezione del Consiglio di Stato che con sentenza 2 novembre 2017, n. 5068, ha statuito che «in sede di ottemperanza, non può essere modificato l'accertamento di fatto contenuto nel giudicato, che altrimenti risulterebbe violato; tale criterio vale anche nel caso di sentenza sui criteri, come dimostra, attualmente, la previsione dell'articolo 34 comma 3 (rectius 4, n.d.r.) , Cpa, secondo cui in sede di ottemperanza possono essere richiesti solamente la determinazione della somma dovuta ovvero l'adempimento degli obblighi ineseguiti, senza che possa determinarsi una modifica dell'accertamento fattuale contenuto nel giudicato».
Ciò detto le conclusioni non sono rassicuranti, per un verso o con questa sentenza si è consolidato un nuovo principio giurisprudenziale che rischia di incidere pesantemente sulla ratio del giudizio di ottemperanza oppure a diritto, rovescio, siamo davanti ad una creatività giurisprudenziale la quale dovrebbe sempre trovare un limite insormontabile nel dettato letterale della legge .

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©