Amministratori

Slogan e consenso facile non riformano la Pa

Dopo il faticoso rito di inizio legislatura dello spoil system va rimesso in agenda il tema della riforma della Pa. La ministra Bongiorno ha saggiamente fatto sapere che non intende lanciare nuove riforme legislative a tutto campo, annunciando un disegno di legge che dovrebbe affrontare alcuni nodi come valutazione e semplificazione.

È evidente del resto che i principi guida di una riforma italiana dovrebbero puntare a realizzare un'«Italia semplice» che funzioni nei servizi essenziali. Ma sugli approcci si è stati spesso, poco coraggiosi e poco competenti.Tutti ormai sono convinti che per la Pa sia urgente una forte semplificazione sia a livello macro sia a livello micro. Per intervenire ai due livelli occorre uguale forza e coraggio riformatore, e quindi energie e “costi” politici che possono essere recuperati con benefici e consenso della popolazione solo dopo qualche anno. Se si è bravi a gestire la riforma oltre che a disegnarla. Altrimenti il Governo proponente si troverà a subire le solite proteste corporative e a cedere al primo tweet.I due livelli sono tra loro interconnessi, ma è utile richiamarli singolarmente.Sul livello macro è evidente che il fallimento del federalismo introdotto nel 2001, caotico, irresponsabile, costoso e a bassa performance. Due i tentativi di riforma costituzionale negli ultimi anni, entrambi abortiti.

È ormai fondamentale rivedere la ripartizione delle competenze tra i diversi livelli di governo. Cosa fare delle province, dopo la soppressione mancata? Ha senso mantenere 8mila Comuni, con la piaga dei dissesti soprattutto al Sud? Come responsabilizzarele regioni che si caratterizzano per livelli di bassa performance e efficienza? Ha senso mantenere le regioni a statuto speciale? Lo possono essere tutte, rispettando i principi di responsabilità e di efficienza. Tutto questo richiederebbe di rafforzare un livello centrale oggi paradossalmente debole pur in tempi di sovranismo. A livello micro servono invece interventi gestionali che partano dai processi, oggi frammentati dal federalismo caotico e dall'esigenza di mantenere uffici funzionali al clientelismo del passato. Sanità, scuola, giustizia, servizi per il lavoro e così via possono migliorare molto con un investimento gestionale, puntando su informatizzazione e risorse umane qualificate.

La Pa non deve servire a combattere la disoccupazione peggiorando il servizio. Il reclutamento deve essere mirato. E l'investimento in informatica va collegato ai servizi e progettato da chi conosce amministrazioni e processi.Per affrontare la sfida servirebbe un governo consapevole a tutti i livelli, e la fissazione di standard gestionali efficienti. Non è semplice, soprattutto in un contesto politico che si orienta su risposte immediate, slogan e possibilmente nessun costo in termini di consenso. Anzi la Pa ha finanziato per anni il consenso elettorale. Ma oggi i bilanci pubblici non sono in grado di assicurare neanche questo. Cercasi urgentemente classe politica autorevole, coraggiosa e competente per una sfida epocale, non più rinviabile.

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