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Il passare del tempo non rende inefficace l’interdittiva antimafia

di Paolo Canaparo

Con il decorso dell’anno la misura interdittiva che rileva il pericolo di condizionamento mafioso non perde efficacia. Così ha deciso la terza sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4620/2018, aderendo a un indirizzo giurisprudenziale abbastanza consolidato, che ritiene necessario un atto di revoca espressa che evidenzi il sopravvenire di elementi diversi o contrari che fanno venir meno la portata sintomatica dell’interdittiva.
La limitazione temporale di efficacia dell'informativa antimafia prevista dall'articolo 86, comma 2, del Dlgs 159/2011 (dodici mesi), infatti, deve intendersi riferita ai casi in cui sia attestata l'assenza del pericolo di infiltrazione mafiosa (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 1562/2018 e V sezione n. 4602/2015) e non già a quegli elementi ritenuti indicativi di tale pericolo, i quali ultimi conservano la loro valenza anche oltre il termine indicato nella norma, sino al sopraggiungere di fatti nuovi e diversi da quello che hanno originato l'interdittiva.

L'apprezzamento del prefetto
Palazzo Spada ha evidenziato che il «venir meno delle circostanze rilevanti» previste dall'articolo 91, comma 5, del Dlgs 159/2011 non dipende dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi che ne controbilancino, smentiscano e in ogni caso superino la precedente valutazione del prefetto, perché rendono remoto, e certamente non più attuale, la sussistenza di quegli elementi valutati secondo l'ormai consolidato criterio del «più probabile che non».
Si tratta di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso (Consiglio di Stato, sezione III, senten za del 9 maggio 2016 n. 1743), con un esame dei singoli elementi che devono essere valutati unitariamente nel loro complessivo valore oggettivo, storico, e sintomatico rivelatori di un rischio concreto di condizionamento dell'impresa da parte della criminalità organizzata (Consiglio di Stato, sezione III, sentenze 2 agosto 2016 n. 3505 e 29 settembre 2016 n. 4030).
Come la sezione III del Consiglio di Stato ha avuto modo di sottolineare più volte in linea di principio, gli indizi che sono posti a fondamento di un'informativa interdittiva, permangono inalterati fino al sopraggiungere elementi di fatti diversi e ulteriori rispetto alla precedente valutazione circa la presenza di tentativi siffatti, che siano idonei a evidenziare il venir meno della situazione di pericolo (Consiglio di Stato, sezione V, 21 agosto 2017 n. 4053).

L’informativa liberatoria
L'amministrazione, quindi, è tenuta a emettere un'informativa liberatoria nei confronti dell'impresa solo se sopraggiungano circostanze realmente nuove, che siano cioè capaci di smentire o, comunque, di superare gli elementi che hanno giustificato l'emissione del provvedimento interdittivo.
Sul piano letterale, la clausola rebus sic stantibus prevista dall'articolo 86, comma 2, del Dlgs 159/2011 (per esempio in relazione ai casi di modificazioni degli assetti societari e gestionali dell'impresa, in ipotesi capaci di modificare la valutazione alla base dell'informativa emessa dalla prefettura) comporta che in caso di sopravvenienza di fatti favorevoli all'imprenditore l’amministrazione verifichi nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull'iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.

La reiterazione di domande di revoca
In tale direzione la sentenza n. 4620/2018 rileva che in caso di ripetute, defatiganti e strumentali reiterazioni di domande dirette a ottenere un provvedimento di ritiro o di revoca di un'interdittiva in corso di validità, collegate all’affermata rilevanza di sopravvenienze e fatti nuovi asseriti come favorevoli al soggetto inciso, l'amministrazione può comunque limitare l'attività istruttoria evitando di aggravare inutilmente la propria azione amministrativa.
In particolare, il Consiglio di Stato ritine che l'amministrazione possa limitarsi a verificare se la domanda sia accompagnata da un fatto realmente nuovo, perché sopravvenuto ovvero non conosciuto, che possa essere ritenuto effettivamente incidente sulla fattispecie (per esempio effettiva cessione dell'impresa a soggetto del tutto estraneo al rischio di condizionamento o infiltrazione da parte della delinquenza organizzata) e a valutare quindi se possano ritenersi venute meno quelle ragioni di sicurezza e di ordine pubblico in precedenza ritenute prevalenti sull'iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.
In caso di risposta negativa, l'autorità prefettizia può semplicemente limitarsi a prendere atto dell’inesistenza di profili nuovi e, di conseguenza, emettere un atto di natura meramente confermativa; ciò a maggior ragione in presenza di sentenze di conferma della legittimità dei precedenti propri provvedimenti.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 4620/2018

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