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Il fattore-tempo non salva dall’interdittiva

L’elemento temporale non incide sulle valutazioni che il prefetto compie quando adotta un provvedimento interdittivo, per escludere un’impresa considerata a rischio infiltrazione mafiosa dagli appalti pubblici. Quindi, anche un fatto molto vecchio può essere contestato a un’impresa, in presenza di un reato, come l’usura, considerato la «spia» di rapporti economici a rischio.

È questo il cuore di una decisione appena pubblicata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 5784/2018) che analizza il delicato tema dell’interdittiva prefettizia antimafia. Si tratta - spiegano gli stessi giudici - di una misura preventiva «volta ad impedire i rapporti contrattuali con la Pa di società, formalmente estranee ma, direttamente o indirettamente, comunque collegate con la criminalità organizzata». In sostanza, l’obiettivo è impedire che un imprenditore «coinvolto, colluso o condizionato» possa essere titolare di rapporti contrattuali con la Pa.

Uno dei punti più rilevanti del ricorso arrivato fino a Palazzo Spada riguardava il margine che il prefetto ha nel valutare gli elementi a sua disposizione. Al centro della sua decisione, cioè, dovrebbe esserci - secondo i ricorrenti - l’elemento dell’attualità, non potendo assumere rilevanza un fatto che, nel caso specifico, risaliva a oltre dieci anni prima.

Il Consiglio di Stato smonta questo teorema. E spiega che, «per quanto riguarda la considerazione dell’attualità degli elementi», l’interdittiva antimafia «può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall’analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa».

L’elemento centrale non è il tempo, ma la presenza di un fatto dal quale si possa desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa. A questa conclusione si può arrivare anche partendo da una sentenza penale che, «ancorché intervenuta tempo prima ed ancora oggetto d’impugnazione, ha condannato l’interessato per il delitto di usura». Più che l’attualità del fatto, secondo la decisione, pesa la condanna («quale che sia il tempo in cui è intervenuta») per uno dei delitti cosiddetti «spia», come alcune forme di estorsione o alcuni reati contro la libertà negli incanti.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5784/2018

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