Amministratori

Speciale Manovra/2 - L’appello delle città: 5 scelte per liberare i conti dei sindaci

Superare davvero il criterio della spesa storica ripensando i meccanismi di perequazione. Rivedere le regole di gestione del debito dei Comuni e permetterne una ristrutturazione come quella accordata alle Regioni; attuare la riforma della riscossione locale ferma da otto anni permettendo ai sindaci di cedere sul mercato i vecchi crediti che strozzano i bilanci; e rialzare le compensazioni per l’addio alla Tasi sull’abitazione principale. I lavori sulla manovra sono in pieno corso. Agli amministratori locali offrono qualche soddisfazione soprattutto sulle promesse per gli investimenti. Ma per farle correre davvero il menu va arricchito. E vanno aggredite le incrostazioni che inchiodano i bilanci locali.
Punta dritto su questo snodo la lettera appello che tre grandi città del Nord rivolgono al governo tramite gli assessori al Bilancio. Con una proposta in cinque mosse che interessa tutti i Comuni. Perché le gabbie sono uguali per tutti. E stanno trasformando il ruolo dei politici locali: non più amministratori con il compito di dare gambe allo sviluppo dei territori, ma gestori di emergenze contabili.

Le proposte arrivano da Roberto Tasca, assessore al Bilancio della giunta Sala a Milano, Sergio Rolando, che tiene i conti del Comune di Torino guidato da Chiara Appendino, e Pietro Piciocchi, che svolge lo stesso ruolo a Genova nella giunta di Marco Bucci. Tre orientamenti diversi, dal centrosinistra di Milano al centrodestra di Genova passando per il monocolore M5S di Torino. A livello nazionale la politica si scambia accuse quotidiane sulla «rovina del Paese», ma sulla finanza locale non impiega troppa fatica a trovare una piattaforma comune.
A permetterlo è la forza dei numeri. Per esempio quelli del fondo nato nel 2014 per attenuare gli effetti collaterali dell’abolizione della Tasi sui Comuni che si erano allontanati dall’aliquota standard. Il fondo, 640 milioni il primo anno, si è alleggerito fino ai 300 milioni del 2018, e per l’anno prossimo le bozze di manovra per ora non ne parlano. Bisogna tornare ai livelli iniziali, spiegano gli assessori, e superare il doppione di Imu e Tasi su seconde case e altri immobili.

La progressione del «Fondo crediti di dubbia esigibilità»
La questione riguarda oltre 1.800 Comuni, ed è spinta anche dall’Anci. E lo stesso accade alla richiesta di ripensare la progressione del «Fondo crediti di dubbia esigibilità». Il meccanismo obbliga gli enti locali ad accantonare risorse a copertura delle mancate riscossioni, in base alla media degli ultimi cinque anni. Lo strumento è giusto, spiegano i tre assessori. Ma nel 2017, quando doveva coprire il 70% dei “buchi”, ha bloccato oltre 4 miliardi, e la sua progressione fino al 100% del 2021 rischia di paralizzare i conti. E, va aggiunto, di spingere molti sindaci a aumentare le aliquote, se lo sblocco della leva fiscale sarà confermato, per far quadrare i conti del fondo invece che per sviluppare servizi. Perché a essere incagliata è anche la riscossione, appesa a una riforma che non arriva. Milano ha in bilancio più di 2 miliardi di crediti non riscossi, Torino viaggia intorno agli 1,3 miliardi e Genova è a un miliardo. «Un intervento che ne facilitasse la cessione con procedure a evidenza pubblica - scrivono gli assessori - consentirebbe la trasformazione di questi crediti in cassa e ne migliorerebbe il recupero».

Il debito
L’altro colpo ai conti arriva dal debito. Che è in diminuzione, a differenza di quanto accade alla Pa centrale. Ma è schiacciato spesso da tassi fuori mercato, che potrebbero essere ristrutturati come accaduto alle Regioni, e dall’obbligo di rimborso integrale delle quote capitale in scadenza imposto dai principi contabili: obbligo «auspicabile per gli enti che non garantiscono la sostenibilità del debito», ragiona la lettera-appello, ma «inaccettabile per tutti quei Comuni che hanno una situazione debitoria del tutto sostenibile». Una mossa per cominciare a superare il problema arriverebbe dalla possibilità di coprire almeno al 50% la quota capitale in scadenza nell’anno con entrate in conto capitale anziché con entrate correnti.

La lettera

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