Amministratori

Violazione della procedura di spesa a prova di responsabilità personale

di Aldo Milone

Con la sentenza n. 29988/2018, la Corte di cassazione (sezione civile, 1) enuncia una serie di affermazioni di principio in materia di responsabilità personale e diretta dei funzionari/amministratori degli enti locali verso il privato fornitore per impegni assunti al di fuori o in violazione della tassativa procedura di spesa.
La pronuncia interviene con riferimento alla vecchia disciplina prevista dall'articolo 23, comma 4, del Dl 66/1989, ma le indicazioni giurisprudenziali devono ritenersi valide ed estendibili anche relativamente all'attuale (omologa) norma trasfusa nel comma 4 dell'articolo 191 del Tuel.

L'interruzione del rapporto organico
In via generale, la disposizione stabilisce che, in caso di acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di assunzione preventiva dell'impegno contabile e attestazione della copertura finanziaria, il rapporto obbligatorio intercorre, per la controprestazione (e per la parte non legittimabile a seguito del riconoscimento di un debito fuori bilancio), tra il privato fornitore e l'amministratore o funzionario/dipendente che hanno consentito la fornitura (o, per le esecuzioni reiterate o continuative, reso possibili le singole prestazioni).
Si attua così una sorta di interruzione ope legis del rapporto organico tra la Pa e i suoi funzionari/amministratori, negando la riferibilità alla prima delle iniziative adottate dai secondi infrangendo il previsto paradigma procedimentale.

Esclusione della responsabilità
I giudici di legittimità delimitano il perimetro della responsabilità richiedendo una prova rigorosa sia del ruolo degli agenti pubblici sia del loro effettivo consenso alle acquisizioni dai terzi. In particolare, viene esclusa la imputabilità di funzionari/amministratori in ipotesi di assenza in concreto di alcun idoneo atto impegnativo nei confronti del fornitore, non essendo sufficiente il mero fatto di avere questi rivestito un ruolo di responsabilità all'interno dell'ente laddove manchino correlati comportamenti cui ricondurre causalmente le prestazioni rese dal terzo.

Inammissibilità dell'azione di arricchimento
La previsione di un'azione tipica (personale e diretta) avverso funzionari/amministratori inadempienti, tramite cui il terzo può invocare la tutela giurisdizionale delle proprie ragioni di credito, produce un rilevante effetto sul piano giuridico. Secondo la Suprema Corte, essa rende inammissibile l'azione di ingiustificato arricchimento, che per definizione (articolo 2042 del codice civile) non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subìto contro l'arricchito o anche persona diversa. In specie, quindi, l'esperibilità dell'azione nei confronti dei singoli funzionari/amministratori implica la reiezione della domanda di arricchimento senza causa per difetto del requisito di sussidiarietà.
In più, si rileva che la mera presenza di un'azione tipica sperimentabile dal terzo porta a escludere il necessario parametro della sussidiarietà per la sola sussistenza stessa della possibilità, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, che l'impoverito eserciti un'altra azione per il ristoro dei danni. Ne consegue, insomma, l'inammissibilità dell'azione di arricchimento anche nell'ipotesi di esito infruttuoso dell'azione tipica (per esser stata rivolta – in specie – nei confronti di funzionari/amministratori giudicati non responsabili).

La sentenza della Corte di cassazione n. 29988/2018

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