Amministratori

Elezione diretta nelle province, l’esperienza della regionale siciliana

di Paolo Canaparo

Ancora al centro del dibattito politico il ritorno all'elezione diretta degli organi provinciali e alla corresponsione di un'indennità, laddove, ora, lo svolgimento degli incarichi è esclusivamente a titolo gratuito.Se il referendum targato Renzi del 4 dicembre 2016 è naufragato e la disciplina costituzionale degli enti provinciali è rimasta invariata, il passaggio successivo non può che essere quello di intervenire sulla riforma n. 56/14 che li ha trasformati in enti di mero raccordo e coordinamento, nelle more di una successiva loro soppressione (che doveva avvenire con la legge costituzionale bocciata nel 2016).
L'intento, così, è quello di «ripristinare la legalità costituzionale» rispetto a un organo di governo territoriale che continua a vivere in una sorta di limbo compromettendone ruolo e funzionalità. La legge Delrio aveva individuato un compromesso fino alla definitiva cancellazione degli enti, cioé presidenti eletti dagli amministratori del territorio, candidabili solo gli stessi sindaci. La riorganizzazone doveva essere temporanea, ma non è andata così.
E sebbene il decreto Milleproroghe abbia abbassato da 18 a 12 mesi la durata residua del mandato necessaria per la candidatura all'assemblea provinciale (le elezioni sono state accorpate al 31 ottobre scorso), l'obiettivo è andare oltre l'attuale meccanismo di rappresentatività «di secondo livello» per assegnare nuovamente una legittimazione democratica che discende dalla elezione diretta degli organi.

L'elezione diretta in Sicilia
Sul tema del ripristino dell’elezione diretta degli organi provinciali è assai interessante l'esperienza siciliana, con la Regione costretta di recente a intervenire sulla legge n. 17/2017, che aveva reintrodotto il suffragio universale per gli enti di area vasta.
L’intervento legislativo è stato obbligato dalla Corte costituzionale, che con la sentenza n. 168/2018, ha bocciato la riforma regionale delle ex Province imponendo di adeguarsi alla legge Delrio e al suo sistema di elezione indiretta. L'adeguamento è avvenuto con l'approvazione della legge n. 16/2018 che, nelle more dell'insediamento degli organi dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, e comunque non oltre il 31 dicembre 2018, ha previsto che le funzioni attribuite a tali organismi debbano continuare a essere svolte da commissari straordinari.
Per il giudice delle leggi le disposizioni sull'elezione indiretta delle ex Province contenute nella legge n. 56/2014, infatti, devono ritenersi «norme fondamentali delle riforme economico-sociali» e come tali sono un limite all'esclusività della competenza della Regione Sicilia in materia di enti locali. Una decisione che ha finito per infliggere un colpo quasi mortale alla specialità dello Statuto siciliano, avente forza di norma costituzionale.
In passato, effettivamente, non c'erano stati dubbi sul fatto che le disposizioni del testo unico degli enti locali non trovassero ingresso automatico in Sicilia, in forza della specialità dello Statuto e della competenza esclusiva in materia di enti locali.

La competenza esclusiva
La tesi difensiva della Regione Siciliana ha confinato i «principi di grande riforma economica e sociale per la disciplina di città e aree metropolitane» esclusivamente con riferimento al nuovo assetto funzionale degli enti di area vasta, negandone, dunque, l'estensione al meccanismo di elezione degli organi delle Città metropolitane e delle Province.
La Corte costituzionale, invece, ha ritenuto che il «modello di governo di secondo grado» adottato dal legislatore statale, diversamente da quanto sostenuto dalla Regione, debba ritenersi rientrare tra gli «aspetti essenziali» del complesso disegno riformatore che si riflette nella legge n. 56/2014. Secondo la Corte, i previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi enti di area vasta, infatti, sono funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell'ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono a un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all'elezione diretta, con ciò conseguentemente dovendosi negare qualsiasi legittimazione della regione Sicilia a normare in materia in maniera difforme. Il suffragio universale, infatti, non configura il preteso modello alternativo di elezione diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano che la Regione Sicilia ritiene di poter adottare a suo piacimento. Costituzionalmente illegittima è stata considerata anche la diversa previsione del numero dei componenti degli organi consiliari in rapporto alla popolazione insistente sul relativo territorio. La previsione della composizione numerica degli organi consiliari, infine, per la Consulta s'inserisce pure essa nel processo di ridimensionamento degli enti di area vasta come enti di secondo grado ed è uno dei fondamentali passaggi attuativi della correlata riforma; in quanto tale, non derogabile nemmeno dalla competenza esclusiva regionale siciliana in materia di enti locali.

La sentenza della Corte costituzionale n. 168/2018

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