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Anticorruzione, fisco e manovra, Governo avanti solo a colpi di fiducia

Adesso perché il ddl anticorruzione diventi legge manca solo il sì definitivo della Camera. Ed è probabile che anche a Montecitorio, come già avvenuto ieri al Senato, il governo metta il voto di fiducia sul provvedimento. Un modo per garantire il passaggio rapido dello «spazzacorrotti» che il M5s vuole assolutamente licenziare prima di Natale (è stato calendarizzato per l’Aula martedì 18), tant’è che ha già organizzato per sabato 22 una giornata di festeggiamenti. Ma blindare il testo con la fiducia (sarebbe la settima in sei mesi escludendo le due di avvio di legislatura)serve anche ad evitare la revanche dei franchi tiratori della maggioranza, che proprio a Montecitorio votarono con le opposizioni l’emendamento dell’ex M5s Catello Vitiello sull’attenuazione del reato di peculato, nuovamente cancellato ieri a Palazzo Madama.

Il clima in Parlamento è decisamente peggiorato. La nota comune sulla manovra dei due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in cui benedicono ancora una volta la trattativa del premier Giuseppe Conte con Bruxelles, garantendo allo stesso tempo che manterranno «tutti gli impegni», non basta a diradare la tensione ormai palese tra M5s e Lega. Il ricorso disinvolto alla fiducia lo conferma. Solo ieri due quasi in contemporanea tra Camera (decreto fiscale) e Senato (anticorruzione). Così come termometro dello scricchiolio della maggioranza sono anche i numeri. Ieri a Palazzo Madama a votare sì sono stati in 162 (5 voti in meno rispetto al numero di senatori gialloverdi). Alla Camera sul decreto fiscale è andata ancora peggio, visto che sono mancati 35 deputati e che non è stata raggiunta la maggioranza assoluta (l’asticella si è fermata a 310). Senza contare che per ben due volte la maggioranza si è divisa su due emendamenti del Pd nonostante il parere favorevole del governo. Per ora sono solo segnali. Così come il nervosismo che monta tra i Cinquestelle, soprattutto tra chi ha già preso palesemente le distanze dalle decisioni dell’esecutivo. «Stiamo facendo peggio di Renzi», attacca la grillina Elena Fattori con riferimento al ricorso alla fiducia che nella passata legislatura veniva aspramente contestata dal M5s. Sulla stessa linea anche Gregorio De Falco, entrambi i senatori già finiti nel mirino dei probiviri pentastellati per il dissenso espresso in occasione del voto di fiducia sul decreto sicurezza. Anche allora la scelta di blindare il testo fu presa esclusivamente per arginare il numero dei dissensi interni alla maggioranza o meglio nel M5s. Ieri, al contrario, l’argine della fiducia sul ddl Anticorruzione è servita a tenere a freno le pulsioni di quei leghisti che non hanno fatto mistero di avere sul provvedimento più di una perplessità. A difendere la scelta dell’esecutivo è però tutto lo stato maggiore M5s. «Non c’è nessun abuso», rivendica il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ritiene la fiducia «l’istituto con cui un governo dà importanza a un provvedimento».

Tace invece Salvini. Così come i leghisti. Il rapporto con Di Maio ormai è logoro e le uscite del leader M5s sui fondi della Lega ha finito per rompere quel filo che, sia pure assottigliato, manteneva ancora in piedi la comunicazione tra i due vicepremier. L’attesa adesso è tutta concentrata sull’esito del confronto con la Ue e sui riflessi che provocherà sulle singole misure della manovra. Salvini è convinto che nonostante i tagli imposti da Bruxelles per ridurre il rapporto deficit/pil, il capitolo pensioni - quota cento - sarà comunque realizzato in tempo per la campagna elettorale delle europee di maggio (la prima finestra si aprirà infatti a marzo). Più complesso invece il fronte reddito di cittadinanza. Di Maio - sempre più nervoso per la discesa del Movimento nei sondaggi -continua a ripetere che scatterà da marzo e che la platea sarà «di più di 5 milioni», ma resta ancora da capire come concretamente il suo dicastero riuscirà a costruire le condizioni per garantirne l’erogazione.

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