Amministratori

Nuovo stop del Tar Lazio al Viminale sullo scioglimento dei Comuni

di Amedeo Di Filippo

Continua la strategia di contenimento che il Tar Lazio sembra aver messo in campo per arginare lo strapotere del ministero dell'Interno e dei prefetti nello scioglimento dei Comuni. Con la sentenza n. 3101/2019, preso atto che si tratta di rimedio di extrema ratio adottabile quando non sono adoperabili altri apparati preventivi o sanzionatori, ha affermato che lo scioglimento è legittimo solo qualora traspaia l'esistenza di un modello di collegamento con la criminalità organizzata e non risulti collegato alla sola appartenenza del Comune a un territorio ritenuto interessato da fenomeni criminali radicati.

Il caso
Siamo in presenza dell'ennesimo ricorso proposto dall'ex sindaco di turno contro il Dpr di scioglimento adottato in base all'articolo 143 del Tuel e contestuale affidamento della gestione alla commissione straordinaria. Dopo aver richiamato la normativa e la corposa giurisprudenza in materia, con un cenno alla tipologia dello scrutinio di legittimità rimesso al giudice amministrativo, il Tar Lazio si è concentrato sul caso di specie, per il quale l'ex amministratore contestava l'inesistenza degli elementi componenti il grave quadro che legittima il ricorso alla misura straordinaria. Ha analizzato pertanto il documento centrale dell'intera procedura di scioglimento, la relazione ministeriale, nella quale sono rappresentate analiticamente le anomalie riscontrate.

Gli elementi indiziari
Nel caso in esame, la proposta di scioglimento formulata dal Viminale riporta alcuni fatti che si sono verificati in occasione della festa del Santo Patrono durante la quale si sarebbe librata una mongolfiera sulla quale compariva il nome di una famiglia mafiosa; si delinea quindi un ambito territoriale notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di organizzazioni criminali con un andamento gestionale dell'amministrazione comunale nel quale l'uso distorto della cosa pubblica si sarebbe concretizzato nel favorire soggetti o imprese collegati, direttamente o indirettamente, ad ambienti malavitosi, col sindaco, gravato da precedenti di polizia, che lavorerebbe alle dipendenze di soggetti contigui alla criminalità organizzata. E poi la presenza durante l'esecuzione di un appalto di un pluripregiudicato; l'affidamento del servizio rifiuti a una ditta raggiunta da interdittiva antimafia; l'affidamento dei lavori di efficientamento energetico degli istituti scolatici a una ditta il cui titolare era gravato da numerosi precedenti di polizia e da frequentazioni con malavitosi; l'affidamento della gestione del cimitero comunale a un soggetto legato da parentela a un pluripregiudicato; la mancata adozione di provvedimenti sanzionatori in ordine alla gestione in assenza di autorizzazione e su terreno appartenente a un noto pregiudicato, del mercato domenicale; la concessione di un consistente contributo economico in favore di una società sportiva in passato amministrata da un assessore comunale.

Le valutazioni del Tar
Il complesso indiziario messo in scena dal ministero però non ha convinto i giudici capitolini i quali ricordano che gli elementi che legittimano lo scioglimento non devono certo ridondare in attività di rilievo penale, ma «non possono non dimostrare quella consistenza e unidirezionalità necessarie a permettere una fondata percezione della loro forte e decisa valenza rivelatrice dei collegamenti esistenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata e dei conseguenti condizionamenti sull'attività amministrativa». Elementi che il Tar non ritrova nella relazione prefettizia, in quanto: si limita a riportare i fatti contestati in sede penale senza farsi carico di evidenziare un loro disvalore sintomatico; la denuncia a carico dell'ex sindaco si è conclusa con una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto; i «precedenti di polizia» non risultano aver dato luogo a sentenze di condanna. Anche la bizzarra vicenda della mongolfiera ha fondamenta di sabbia, così come le irregolarità amministrative riscontrate.
Da qui la sonora bacchettata all'amministrazione dell'interno che avrebbe utilizzato «formule generiche e assertive, evocative di collegamenti e cointeressenze degli amministratori locali con la criminalità organizzata, non puntualmente correlate a dati fattuali e concreti, spesso tautologicamente ripetuti per rafforzare la reciproca valenza argomentativa». Formule che non corrispondono al paradigma normativo disegnato dall'articolo 143 che invece richiede sempre un costante e concreto aggancio a elementi rilevanti e univoci che, pur non assurgendo al rango di prova, contribuiscono a indicare un percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità e adeguatezza della misura adottata.

Il contesto locale
L'elemento centrale dell'analisi del Tar si concentra sul fatto che la relazione prefettizia riconosce un peso eccessivo al contesto territoriale del Comune che nulla dice, di per sé, in ordine all'eventuale collegamento esistente tra gli amministratori e la criminalità organizzata, posto che l'intervento demolitorio si giustifica solo qualora l'influenza di quest'ultima «sia fondatamente e univocamente percepibile, risolvendosi altrimenti l'applicazione della norma in un'inammissibile ingerenza dello Stato nei governi locali». Elemento già messo in luce dallo stesso Tar e dal Consiglio di Stato che induce a concludere che l'accertamento da compiersi ei fini dello scioglimento deve necessariamente far trasparire l'esistenza di un «modello di collegamento diretto o indiretto tra amministratori e criminalità organizzata di tipo mafioso o similare ovvero di forme di condizionamento dei primi» che, laddove conduca allo scioglimento dell'organo elettivo locale, deve dar conto in ogni caso della loro concretezza, univocità e rilevanza.

La sentenza del Tar Lazio n. 3101/2019

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