Amministratori

Accesso generalizzato «strozzato» dalla lettura combinata delle norme

di Luca Vitali

Ancora precisazioni dal ministero della Funzione Pubblica sull'attuazione delle norme sull'accesso civico generalizzato. Sono arrivate con la circolare n. 1/2019 che va a integrare la precedente n. 2/2017 per fornire chiarimenti alle problematiche emerse nei primi due anni di vigenza dell'istituto.
Nella pratica quotidiana i funzionari sono chiamati a una difficile operazione ermeneutica dal punto di vista della tutela dei dati personali in considerazione dell'insanabile conflitto concettuale tra la necessità di trasparenza e la tutela della privacy che il legislatore del Decreto Trasparenza (Dlgs 97/2016) risolve in maniera sbrigativa, includendo tra le esclusioni all'accesso di cui all'articolo 5-bis la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia.

Ambito applicativo
L'istituto dell'accesso civico generalizzato ha un ampio ambito applicativo perché consente l'accesso alla generalità di documenti e dati a tutti i cittadini, senza onere di motivazione, perseguendo il fine di favorire il coinvolgimento del singolo nella cura della «cosa pubblica», così creando un controllo diffuso a fondamentale garanzia per l'imparzialità e il buon andamento dell'amministrazione. Nondimeno, la coesistenza del nuovo accesso generalizzato con l'accesso semplice e quello documentale desta qualche preoccupazione soprattutto per le possibili distorsioni che l'utilizzo di tale strumento potrebbe provocare. Sul punto il Tar Brescia, con la sentenza n. 219/2019 della sezione 2, ha giustamente fatto notare come: «la richiesta avanzata dal cittadino deve comunque essere riconducibile al soddisfacimento di un interesse che abbia una valenza pubblica e non resti confinato ad un bisogno conosciti-vo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo che, lungi dal favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico, si traduca in una elusione delle diverse finalità e dei limiti dettati dall'accesso documentale ex L. 241/90». Ed è proprio l'estensione dell'accesso che preoccupa come anche ben evidenziato dall'Anac che esorta a tenere ben distinte le diverse fattispecie di accesso.

Contrapposti interessi
Nella pratica quotidiana, il funzionario, in base a principi non chiaramente codificati, rifacendosi al Gdpr, dovrà valutare se l'ostensione pregiudica l'interessato e se il pregiudizio sia concreto e non potenziale, sulla base di un bilanciamento dei contrapposti interessi e nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza. Non aiutano concretamente le linee guida Anac poiché forniscono indicazioni di massima.
Una pronuncia del Tar Lombardia-Milano (n. 2024/2018) misura la difficoltà. In un procedimento di separazione, un coniuge si era visto negare dall'Agenzia delle entrate l'accesso in base alla legge 241/1990 a tutta la documentazione patrimoniale del consorte. I giudici amministrativi, investiti della questione, hanno negato in radice la sussistenza stessa del diritto di accesso ai documenti trovando, a loro dire, applicazione alcuni limiti normativi previsti in attuazione dell'articolo 24 della 241/1990, derivanti dalla tutela della riservatezza, che però sarebbe esclusa se la conoscenza dei dati fosse necessaria per la tutela del diritto di difesa. Sul punto il Tar si trova in loop argomentavo e tenta di risolverlo aderendo alla linea interpretativa del Consiglio di Stato (non uniforme, Consiglio di Stato n. 3461/2017) secondo cui l'ostacolo della riservatezza può essere superato solo se l'accesso sia l'unico strumento previsto per esercitare i propri diritti. E in questo caso non lo era poiché esistevano gli strumenti istruttori del giudice investito della causa principale. Ciò argomentando sulla lettura in combinato disposto degli articoli 86, 21, e 18 del Gdpr. Questa lettura è però fuorviante perché se è vero che l'articolo 86 del Gdpr consente agli Stati membri di disciplinare il diritto di accesso ai documenti amministrativi, e l'articolo 21 esclude il diritto dell'interessato a opporsi al trattamento dei dati per l'esercizio del diritto di azione del titolare, è pur vero che l'esercizio dei poteri di accesso ai fini probatori nel processo non esaurisce tutte le fattispecie di accesso agli atti e che l'articolo 86 non necessariamente deve essere letto in combinato disposto con gli altri due.

L'inceppamento argomentativo
In sostanza, l'iter argomentativo si inceppa perché l'articolo 86 del Gdpr non può essere interpretato nel senso di limitare l'esercizio del diritto di accesso nell'ambito di un giudizio perché, al contrario, semplicemente demanda le scelte sui meccanismi di accesso agli atti della Pa agli Stati stessi. Il corto circuito deriva dalla convinzione obbligata dalla formulazione dell'articolo 5-bis del Decreto Trasparenza che si può contemperare trasparenza e riservatezza incrociando le norme del Foia con il Gdpr, mentre ciò non è possibile, come ha sottolineato un arguto autore (Francesco Midiri), dal momento che il Gdpr non si occupa di tutela della privacy, ma di trattamento e sicurezza dei dati e delle condizioni per cui tale trattamento è lecito, attraverso la previsione di clausole generali. Demandare al solo Gdpr la soluzione del contrasto tra trasparenza e riservatezza è un'illusione tecnica, come dimostra la sentenza citata. Al contrario, il Gdpr agevola il trattamento pubblico degli Stati Membri consentendo di comprimere il diritto degli interessati a fronte di un'azione pubblica diretta ad interessi generali, come ad esempio l'articolo 86, che lascia allo Stato Membro il potere e il compito di predisporre le norme che consentano l'accesso e la comunicazione degli atti predisponendo adeguate misure di protezione. Secondo questa condivisibile interpretazione, dunque, se il legislatore predispone, come ha fatto, una norma sull'accesso generalizzato e limita l'accesso al fine di prevenire abusi o lesioni di diritti altrui rinviando l'interprete all'utilizzo di criteri generali di data protection, demandando poi ad autorità come Anac e Garante Privacy il compito di fornire indirizzi, finisce per creare un sistema tautologico. E l'applicazione diventa polarizzata poiché basandosi su criteri generali o è sempre possibile opporre la riservatezza oppure il contrario, e ciò in base a discrezionale valutazione del singolo interprete (ad esempio sull'acceso generalizzato ai documenti di gara pronunce di Tar diametralmente opposte: Tar Puglia – Bari, n. 49/2019 che ammette l'accesso per prevalente diritto di difesa e Tar Emilia Romagna – Parma, n. 197/2018 in senso opposto).

Il contemperamento dei dati sensibili
Al momento, dunque, l'interprete non potrà far altro che basarsi su precedenti di giurisprudenza e pareri del Garante Privacy. Quanto al contemperamento rispetto ai dati sensibili, una sentenza della Corte di cassazione afferma la prevalenza della necessità di tutela rispetto a una generica esigenza di trasparenza amministrativa (n. 9382/2019), principio in linea con quanto deciso più volte dal Garante della Privacy che, ad esempio, ha negato l'accesso ai dati sanitari di una persona deceduta, nonché con quanto riferito nelle linee guida Anac secondo cui la presenza di dati sensibili o giudiziari dovrebbe far ritenere sussistente il pregiudizio che impedisce l'ostensione.
Per quanto riguarda le altre tipologie di dati, la diffusione tramite accesso gene-ralizzato potrebbe compromettere libertà personali o portare a furti di identità per cui l'Anac consiglia di prevedere la cancellazione o l'anonimizzazione, sempre quando ciò sia possibile.
Il Garante ha dimostrato di ritenere non accessibili da parte dei terzi i dati relativi ai lavoratori, progressione di carriera, dati di premi di produttività richieste di mobilità, interventi disciplinari, incarichi di avvocati, poiché è ritenuto concreto il rischio di ripercussioni negative sul piano personale o professionale, per cui anche la conoscenza di emolumenti, periodi di assenza o altro possono creare invidie o modifiche di relazioni amicali o di colleganza non tollerabili e non eliminabili, anche perché la cancellazione dei dati dell'interessato non esclude la reidentificazione. Parimenti è stato ritenuto corretto il diniego all'accesso a 5 anni di fogli presenza del personale che avrebbe consentito una ricostruzione dettagliata delle abitudini o stato di salute degli interessati.
È evidente, quindi, una forza espansiva della tutela dei dati personali a scapito della contrapposta esigenza di trasparenza. Ed è questo il corto circuito che poco sopra si era evidenziato, commentando la dottrina che evidenzia la necessità di un intervento legislativo chiarificatore.

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