Amministratori

Autonomia differenziata, prima costi e fabbisogni standard

di Ettore Jorio

Un regionalismo differenziato assolutamente condizionato e, di conseguenza, differito.
È quanto deciso dal Governo giallo-rosso. Le sue componenti politiche lo hanno sancito al punto 17) del programma politico nel quale hanno declinato il percorso di completamento del processo di autonomia differenziata, secondo canoni solidaristici e di salvaguardia dell'unità giuridica ed economica, funzionali a rendere il Paese una cosa sola e indivisibile sul piano dell'esigibilità dei diritti di cittadinanza. Il tutto, subordinato a un indispensabile riordino organizzativo degli enti locali, altrimenti in progressivo default.

Finalmente un impegno serio dopo tanti anni di colpevoli ritardi. Diciotto, dall'insediamento in Costituzione del federalismo fiscale (articolo 119) e dell'autonomia differenziata (articolo 116, comma 3). Dieci, dalla legge attuativa del federalismo fiscale (legge 42/2009). Otto, dai decreti delegati che hanno regolato la pratica attuazione dei fabbisogni standard per gli enti locali (Dlgs 216/2010 e 23/2011) dei costi e fabbisogni standard per sanità e sociale e del fondo perequativo, destinati a enti locali e all'erogazione dei diritti sociali (Dlgs 68/2011).
Dopo tutti questi anni c'è ancora confusione totale, anche tra coloro i quali hanno partecipato attivamente alla revisione costituzionale del 2001 e alla approvazione, alla quasi unanimità, della legge attuativa del 2009 e dei suoi decreti delegati. Alcuni infatti hanno da poco riscoperto l'opportunità costituzionale offerta alle Regioni di rivendicare una maggiore competenza legislativa rispetto a quella ordinaria dettata dalla legislazione concorrente (articolo 117,comma 3) e da quella riservata dallo Stato quanto ad alcune materie (scuola, giudice di pace, ambiente e beni culturali). E ancora. Si aspetta inutilmente da un decennio la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, dei costi e fabbisogni standard, oggi inaspettatamente riscoperti dalla politica che governa, dopo quella dimissionata che ne aveva trascurato irresponsabilmente l'esistenza. Tutto questo dimostra di come si discute, si litiga e si critica su quanto precedentemente condiviso, anche unitariamente, sul piano legislativo. Ciò a dimostrazione dello stato di scarsa attenzione del legislatore a dare seguito normativo al proprio prodotto e di assoluta incoscienza degli «insorti fuori tempo massimo» che, facendo ricorso all'enunciazione di pericoli spesso immaginari (fake news, Bin dixit), producono ulteriori divisioni nel Paese.

Il connubio politico M5S, PD e Sinistra unita ha deciso di dare senso alla partita del federalismo fiscale, attuandolo finalmente. Non si perfezionerà, quindi, alcuna richiesta di autonomia differenziata (del tipo quelle di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) se non saranno prima determinati i fabbisogni standard per gli enti locali, i costi e fabbisogni standard per rendere esigibili i diritti sociali, sanità e sociale in primis. Se non sarà, altresì, costituito soprattutto (e non istituito perché a questo ci hanno già pensato, la legge 133/1999 con il suo Dlgs attuativo 56/2000, la Costituzione modificata nel 20011 e la sua legge attuativa e i suoi decreti delegati) il fondo perequativo che garantirà a tutto il Paese le risorse necessarie per assicurare alla collettività i diritti fondamentali.

Quindi, un grande plauso alla scelta del governo Conte-bis di essersi impegnato ad attuare, prima di consentire l'attivazione del federalismo asimmetrico, quanto è nelle corde dalla Costituzione da circa un ventennio. A recuperare i gravi ritardi di attuazione di tutti i governi che si sono succeduti dal 2001, che hanno fatto finta dal 2009 che non esistessero i livelli essenziali, il sistema perequativo e i costi/fabbisogni standard. Un gap al quale ha contribuito quella burocrazia ministeriale che ha remato contro a tutto questo, sentendosi minacciata dalla naturale deminutio che ne sarebbe derivata all'esercizio del proprio potere.

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