Amministratori

La funzione di prevenzione dell'informativa antimafia limita il sindacato sull'atto

di Romina Cauteruccio

L’ambito del sindacato del giudice amministrativo nelle interdittive antimafia è limitato dall’equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo che emerge dalla documentazione acquisita dalle autorità competenti. È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sezione III, con la sentenza n. 6105/2019.

La questione di fondo
Nella fattispecie in questione il Consiglio di Stato, ha pedissequamente circoscritto i limiti del sindacato del Giudice amministrativo nel valutare la legittimità del provvedimento restrittivo ai danni di una società che svolge attività economica nel settore della gestione delle strutture alberghiere e dei centri di accoglienza.
Con l’appello al Consiglio di Stato veniva impugnata la sentenza del Tar Calabria, concernente l’annullamento del provvedimento prefettizio con cui è stata emessa un’informazione interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli articoli 89-bis e 91 del Dlgs  n. 159 del 2011.
La decisione
Con la pronuncia  in esame il Consiglio di Stato affronta la questione delicata dell’ambito del  sindacato del Giudice amministrativo in materia di interdittive antimafia e ribadisce che la discrezionalità è da intendersi in questi casi non come ponderazione di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma quale  principio più moderno e specifico ancorato alle  finalità di «prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica».
La sentenza segue l’orientamento già manifestato dalla Corte
costituzionale in questa materia, nelle decisioni n. 24 del 27 febbraio 2019 e n. 195 24 luglio 2019, sottolineando la necessità nell’esercizio  di valutazione della discrezionalità del provvedimento in oggetto, del bilanciamento delle irrinunciabili tutele della libera concorrenza di rango costituzionale (articolo 41) con l’altrettanto interesse dello Stato alla tutela dell’economia e del bene democratico da influenze corruttive per il mercato.
L’approfondimento
In tal senso, la giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva già chiarito che la valutazione del rischio di infiltrazioni mafiose implica un ragionamento induttivo,  di tipo probabilistico, che non richiede un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio. Di talchè si segue un quadro assistito da una prognosi  che ancora non assurge ad una diagnosi, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far  ritenere ‘più probabile che non’, il pericolo di infiltrazione mafiosa e dunque la sussistenza del requisito di tassatività sotto il profilo processuale.
Tale principio mutuato peraltro dal diritto civile, secondo l’appellante non permette di dare riscontri certi sul rischio di condizionamento, nei limiti circoscritti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte costituzionale.
In tal senso, il Collegio interpretando alla lettera l’articolo 93, del Dlgs n. 159 del 2011, comma 4 e comma 7, rileva come il riferimento «alla documentazione e alle informazioni acquisite» assume forme generiche, da qui la capacità della discrezionalità amministrativa di  sindacare il provvedimento  secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza. La funzione preventiva ha sollevato dubbi e incertezze, in dottrina e nella pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 febbraio 2017, ric. n. 43395/09, riguardante le misure di prevenzione personali, che hanno rilevato il deficit di tipicità nonché la ‘generica’ base  normativa dell’informazione antimafia, nelle ipotesi dell’articolo 84, comma 4, lett. d) e e), del Dlgs n. 159 del 2011  (accertamenti disposti dal prefetto da compiersi anche avvalendosi dei poteri di accesso).
D’altro canto, nella stessa sentenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha evidenziato, che se la certezza del diritto è un bene auspicabile, è pur vero  che  le leggi devono  essere formulate conferendo quella necessaria discrezionalità nell’interpretazione tali da renderle adattabili al mutare dei tempi, salvo indicare i limiti e la  portata di tale discrezionalità.
Quanto alla censura circa il rapporto contrattuale di natura privatistica intercorso tra l’odierna appellante e l’Associazione, il Consiglio di Stato aveva già chiarito che  la destinazione pubblica di un’attività economica assume di per sé una sostanziale assimilibilità ad un subappalto, che ben può essere oggetto di provvedimenti da parte del Prefetto, ai sensi dell’articolo 32, comma 10, del Dl n. 90 del 2014.Tale orientamento era già stato  trattato dal Consiglio di stato, nella complessa vicenda del Mose veneziano (Consiglio di Stato, n. 867 del 2019).
Conclusioni
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha in tal modo garantito la funzione di nomofilachia in materia di interdittive antimafia uniformando le decisioni, con uno sforzo di ‘tassativizzazione’  degli indici normativi  che costituiscono un catalogo  aperto  e non già un numerus clausus, con la finalità di tutelare l’ordine pubblico dai fenomeni corruttivi nell’economia che assumono nel tempo forme sempre nuove.

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