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Illegittimo il regolamento comunale sulla pubblicità che pone un divieto generalizzato di affissione

di Guido Befani

E’ illegittimo il regolamento comunale sulla pubblicità laddove nei suoi effetti immediati deline una serie di divieti di carattere assoluto e tassativo che non trovano alcuna ragione nella regolamentazione della pubblicità e, ponendosi in contrasto con la tutela costituzionale della libera iniziativa privata, danno luogo ad un uso distorto e sviato di tale potestà regolamentare in materia pubblicitaria con il risultato di comprimere fortemente e senza giustificazione alcuna l’attività pubblicitaria sul territorio comunale. È quanto afferma la V Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6416/2019.

L’approfondimento
Il Consiglio di Stato è intervenuto sui profili di legittimità del regolamento comunale sulla pubblicità che esorbita dai limiti legislativi ponendo un divieto generalizzato di affissione.

La decisione      
Nel respingere l’appello, il Collegio ha avuto modo di rilevare una distinzione tra i divieti del codice della strada connessi alla sicurezza stradale e quelli di cui all’articolo 3, Dlgs 507/1993, sull’applicazione dell’imposta sulla pubblicità.
Per il Collegio, tuttavia, la normativa secondaria comunale, rientrante nella seconda tipologia, aveva introdotto uno schema del tutto capovolto, ossia il divieto generalizzato di collocazione “lungo, in prossimità o in vista delle strade” di “cartelli pubblicitari di qualsiasi natura”, con l’unica eccezione per gli impianti in aderenza ai fabbricati ovvero ubicati nella sede o nelle pertinenze accessorie dell’attività cui si riferisce la pubblicità: tale disciplina esorbitava palesemente dai limiti legislativi, ponendosi in contrasto con la tutela costituzionale della libera iniziativa privata, che in buona sostanza consentiva il contingentamento dell’attività pubblicitaria in presenza di esigenze di pubblico interesse altrettanto costituzionalmente protette, quali ad esempio quelle ex art. 9 Cost.
Pertanto, come già rilevato in primo grado, anche in appello è stato affermato che il divieto generalizzato posto dall’impugnato regolamento comunale non fosse rispettoso del dettato della norma attributiva del potere regolamentare poiché, in luogo del contingentamento, introduceva una divieto generalizzato di installazione, salvo due sole ipotesi eccezionali di deroga senza dare conto delle concorrenti ed equiordinate esigenze di pubblico interesse che intendeva salvaguardare; laddove il carattere residuale delle deroghe permissive era tale da interdire virtualmente in radice, all’interno del territorio comunale, ogni possibilità di iniziativa nel settore della pubblicità visiva in luoghi pubblici e/o aperti al pubblico.
Per il Collegio, infatti, se il Comune non ha in linea teorica errato nel ritenere gli interessi da tutelare tra le materie affidate alla propria cura, ha del tutto disapplicato la regola della tipicità e della nominatività dei provvedimenti amministrativi, principio generale del diritto a sua volta dipendente da una serie di principi costituzionali, in particolar modo l’articolo 97, con il loro inserimento globale nell’articolo 37 comma 2 del regolamento in parola.

Conclusioni
Alla luce di queste premesse, ne deriva che la norma regolamentare comunale impugnata nei suoi effetti immediati ha delineato una serie di divieti di carattere assoluto e tassativo che non trovano ragione per ammissione stessa dell’appellante nella regolamentazione della pubblicità, e di conseguenza hanno dato luogo ad un uso distorto e sviato di tale potestà regolamentare in materia pubblicitaria con il risultato di comprimere fortemente e senza giustificazione alcuna l’attività pubblicitaria sul territorio comunale.

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