Amministratori

Mancata sanatoria, illegittimo il provvedimento adottato senza preavviso di rigetto

di Mario Improta

L’istituto del preavviso di rigetto, di cui all’articolo 10 bis legge n. 241 del 1990, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio. È quanto afferma il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede staccata di Brescia, Sezione II, sentenza n. 837/2019.

Il caso
La vicenda ha inizio nel 1996 quando la società ricorrente collocava, nel piazzale antistante il centro commerciale dalla stessa gestito, un palo finalizzato all’installazione di cartelli e insegne pubblicitarie, senza il necessario titolo edilizio. Solamente nel 2014, ben diciotto anni dopo il collocamento del palo, il Comune ne ammetteva la possibilità di sanatoria. Tuttavia, il territorio comunale, sul quale si collocava il palo pubblicitario, era soggetto a vincolo paesaggistico e, pertanto, il Comune richiedeva preventivamente il parere vincolante alla Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici, ai sensi dall’articolo 167 del Dlgs n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali).
Il parere della Soprintendenza risultava essere negativo e, di conseguenza, il Comune notificava alla società il parere negativo della Sovrintendenza, congiuntamente all’ordinanza di demolizione. La società adiva quindi il Tar Brescia lamentando, tra i vari motivi di ricorso, la violazione dell’articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990 in ragione dell’omessa comunicazione del preavviso di provvedimento negativo. La ricorrente lamentava, inoltre, la violazione del Dlgs n. 42 del 2004, nella parte in cui consente la sanatoria dei lavori che non hanno comportato la creazione di superfici utili o di volumi. A dire della ricorrente, non si ravviserebbe, nella specie, col posizionamento di un palo portainsegna alcuna possibile incidenza sul panorama o, in ogni caso, alcun impatto sulle bellezze paesaggistiche, essendo, fra l’altro, il palo posizionato in zona urbanizzata nella quale già vi sono installati parecchi cartelli pubblicitari.
La decisione

Il Giudice, nell’accogliere il ricorso, in ragione della fondatezza dei motivi, riportando anche una granitica giurisprudenza, ha ricordato che l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’articolo 10 bis della legge 241/1990 dovrebbe trovare applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio. Infatti, il principio enunciato all’articolo 10 bis dovrebbe trovare naturale applicazione anche per quel che concerne il subprocedimento, nel caso il parere della Sovrintendenza; pertanto, quest’ultima avrebbe dovuto comunicare i motivi ostativi all’ottenimento di un parere favorevole alla sanatoria disposta dal Comune, di modo che, l’interessato potesse rappresentare le proprie ragioni. A dire dell’Organo giudicante, infatti, una volta ravvisato il ricorrere della condizione legittimante la possibilità di ottenere l’accertamento in sanatoria, ex articolo 146 del Codice dei beni culturali, non sussistono elementi desumibili dal tenore letterale della norma o dalle specificità proprie dell’istituto idonei ad escludere la necessità del rispetto della garanzia partecipativa, anche in considerazione della natura squisitamente discrezionale della valutazione di compatibilità.
Il parere impugnato risultava comunque viziato sotto il profilo motivazionale. Come lamentato dalla società ricorrente, infatti, non appare in alcun modo chiara e teleologicamente orientata allo scopo della salvaguardia del paesaggio; la rimozione di un cartello pubblicitario in zona comunque urbanizzata. Di tal che, il generico riferimento a un non meglio precisato impatto visivo sul panorama, tenuto adeguatamente conto dell’effettiva collocazione dell’installazione pubblicitaria, nonché della presenza di innumerevoli altri cartelli nella zona di riferimento, finisce per concretizzare un divieto generalizzato di posizionamento di impianti pubblicitari non conforme all’ordinamento.

Il dialogo tra il privato e la pubblica autorità
La sentenza in esame si allinea ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale.
Il Consiglio di Stato, Sezione VI, con sentenza n. 484 del 18 gennaio 2019 ha, infatti, ribadito che un’applicazione corretta dell’articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990 esige, non solo che l’Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall’interessato nell’ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall’adempimento procedurale in questione, poiché, in un’ottica, ormai centrale dell’ordinamento, di  necessario confronto e dialogo tra il privato e la pubblica amministrazione,  solo il modus procedendi appena descritto permette che la disposizione di riferimento assolva la sua funzione di consentire un effettivo ed utile confronto dialettico con l’interessato prima della formalizzazione dell’atto negativo, evitando che si traduca in un inutile e sterile adempimento formale.
Vale, tuttavia, ricordare che la giurisprudenza ha, altresì, affermato la non tutelabilità della posizione del privato in assenza di un titolo legittimo, pur a fronte di un  rilevante decorso temporale. Così l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017, «l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo, infatti, non richiede una particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata, e ciò nonostante sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso. Deve, infatti, escludersi la configurabilità di un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso nonostante il decorso del tempo dal commesso abuso» (si veda sul punto anche Consiglio di Stato, Sezione VI, 5 maggio 2016, n. 1774). L’ordine di demolizione, infatti, essendo un provvedimento sanzionatorio in materia edilizia, è un atto vincolato, pertanto, oltre a non essere richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, come visto, non necessita tantomeno di un bilanciamento con gli interessi privati, indi per cui non si può ammettere l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (si veda anche Consiglio di Stato, Sezione IV, 28 febbraio 2017, n. 908). 

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