Amministratori

Responsabilità della Pa per legittimo affidamento, la quantificazione del danno

di Paolo Canaparo

La responsabilità della pubblica amministrazione per violazione dei canoni di correttezza e buona fede sussiste quando, dopo aver ammesso a finanziamento un'iniziativa imprenditoriale inserendola nella relativa graduatoria per la fruizione delle risorse all'uopo stanziate, solo a distanza di anni, in sede di rendicontazione dell'attività svolta, il soggetto pubblico si accorga che questa non rientrava fra quelle ammissibili in base alla normativa europea di riferimento.
Questo è quanto ha stabilito il Consiglio di Stato, sezione II, con la sentenza del 24 ottobre 2019 n. 7246. In tale ipotesi, infatti, il carattere doveroso e vincolato per la Pa dell'attività consistente nell'evitare l'indebita erogazione di risorse pubbliche (ovvero, ove le stesse siano state già erogate, nel loro recupero), non esclude che, per effetto della pregressa condotta della stessa amministrazione, possa essersi formato in capo al privato un ragionevole affidamento nella legittimità del riconoscimento dei contributi in proprio favore, tale da indurlo a portare avanti l'iniziativa imprenditoriale e a sostenere i relativi oneri nella legittima convinzione che gli stessi sarebbero stati coperti dalle risorse pubbliche.

La sussistenza del legittimo affidamento
Il Consiglio di Stato ha premesso di aderire all'indirizzo secondo cui la revoca del contributo pubblico sia un atto dovuto per l'amministrazione concedente, che è tenuta a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli derivanti all'Erario per effetto di un'indebita erogazione di contributi pubblici quando risulti che il beneficio sia stato accordato in assenza dei presupposti di legge, «essendo l'interesse pubblico all'adozione dell'atto in re ipsa quando ricorra un indebito esborso di danaro pubblico con vantaggio ingiustificato per il privato» (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 13 maggio 2015 numeri 2380 e 2381).
E invero, nonostante la legittimità e la doverosità dell'atto impugnato, connotati rispetto ai quali – come detto - si palesa recessivo l'affidamento invocato dalla società, il Collegio ritiene che nella fattispecie possa configurarsi una responsabilità dell'amministrazione non causalmente riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, ma piuttosto per il fatto che la stessa si è avveduta dell'inammissibilità della domanda di contributo della società solo nella fase procedimentale successiva all'emanazione della delibera giuntale n. 1064/2003, cioè una volta decorsi ben cinque anni da tale delibera.

La responsabilità della Pa
Nella fattispecie, la Sezione ha preso in esame le circostanze addotte dalla Pa a sostegno della legittimità della propria determinazione di non erogare il finanziamento, circostanze che, se opponibili al richiedente, a fortiori dovevano comunque valere per la stessa amministrazione fin dalla fase dell'esame delle istanze ammissibili. Né, secondo la Sezione, il legittimo affidamento poteva essere escluso nella specie per il fatto per la sussistenza di una clausola del bando in ordine alla provvisorietà della liquidazione del contributo e alla circostanza che lo stesso potesse essere rideterminato e anche ridotto in fase di rendicontazione, in quanto ciò ovviamente afferiva alla fase di verifica sull'esecuzione delle iniziative ammesse a contributo, e non certo quella sull'ammissibilità delle domande di contributo, che doveva essere svolto a monte della formazione della graduatoria dei soggetti ammessi.

La quantificazione del risarcimento
Quanto descriktto, per il Consiglio di Stato contrasta con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dall'articolo 1337 codice civile. Il quantum del danno emergemte risarcibile va determinato in relazione alle spese sostenute dalla società proprio in relazione alla fase procedimentale successiva alla delibera della Giunta n. 1064/2003, cui vanno dunque ascritte le spese sostenute per documentazione e rendicontazione.
Non possono esservi ascritte, invece, le spese sostenute per la relazione tecnica, in quanto imputabili ad attività che la Società avrebbe dovuto comunque porre in essere fin dapprincipio per partecipare al bando, a prescindere dall'esito della domanda, e che attengono alla fase del procedimento precedente alla richiamata delibera giuntale.
Sotto il profilo del lucro cessante, il Consiglio di Stato ha valutato la pretesa volta a configurare un danno da perdita della chance di un altro finanziamento cui la Società ritiene che avrebbe potuto attingere. Ma poiché dell'an di una tale occasione non vi è alcuna certezza, in merito può essere formulato solo un giudizio prognostico ex ante in termini probabilistici e il quantum è stato liquidato in via equitativa.

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