Amministratori

Scelta discrezionale di un dirigente a contratto, l'unica via d'uscita è il rinnovo della selezione

di Vincenzo Giannotti

Il giudice del lavoro non può sostituirsi alle scelte discrezionali dell'ente cui compete in via esclusiva il concreto esercizio delle facoltà attribuitegli dall'ordinamento. La Cassazione ha già stigmatizzato il comportamento dei giudici d'appello che si sono sostituiti alla valutazione della Pa (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 23 ottobre).
Il dipendente, leso dal comportamento della Pa, in caso di mancato rispetto delle regole procedimentali cui il potere è subordinato, ha diritto a esercitare l'azione di esatto adempimento ovvero può agire per il risarcimento del danno anche da perdita di chance, ma non può domandare al giudice di modificare la scelta dell'ente. In modo non diverso, riformando anche in questo caso la decisione della Corte d'appello, la Cassazione è tornata a esprimersi (sentenza n. 712/2020) in merito alla scelta discrezionale di un dirigente a contratto operata dalla Pa in mancanza della corretta valutazione dei curricula dei candidati selezionati.

La vicenda
A seguito di una selezione, sulla base dei curricula presentati dai candidati, per il conferimento di un incarico dirigenziale a termine, l'ente ha fatto ricadere la scelta, senza alcuna motivazione, su un candidato diverso dal ricorrente. Quest'ultimo ha presentato, quindi, ricorso al giudice del lavoro dimostrando come il suo curriculum fosse di gran lunga superiore per titoli scientifici e professionali. La Corte d'appello, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, escludendo il carattere fiduciario della selezione del dirigente, ha disposto il pagamento degli emolumenti correlati all'incarico non attribuito al ricorrente, per avere l'ente violato l'obbligo di motivazione e per aver emanato l'atto impugnato ponendo in essere una condotta sostanzialmente arbitraria e non conforme a buona fede.
La Pa ha impugnato la sentenza sostenendo che la scelta del dirigente a contratto ha natura fiduciaria e,come tale, priva dell'obbligo di motivazione. L'ente, anzi, ha stigmatizzato il comportamento del giudice d'appello per essersi inserito nella decisione che spetta alla sola amministrazione che conferisce l'incarico dirigenziale. Inoltre, in tema di perdita di chance, il giudice di appello avrebbe errato addebitando all'ente somme in assenza di una comparazione tra i redditi percepiti e quelli voluti, non essendo possibile, diversamente, valutare né l'ingiustizia del danno, né la sussistenza del nesso causale.

Le indicazioni della Cassazione
Per il giudice di legittimità il motivo di ricorso è fondato, dal momento che all'annullamento della delibera di conferimento di incarico, per mancanza di motivazione in ordine alla comparazione dei curricula degli aspiranti, non consegue, come erroneamente affermato dalla Corte d'appello, una presunzione di nomina nell'incarico del ricorrente, che può intervenire solo a seguito del rinnovo della procedura in questione da parte dell'amministrazione. Da un lato, infatti, gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali cui devono applicarsi i criteri generali di correttezza e buona fede, i quali obbligano la Pa a valutazioni comparative motivate senza alcun automatismo della scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, vietando in questo caso al giudice di sostituirsi alla valutazione operata dalla Pa. Dall'altro lato, la posizione soggettiva di interesse legittimo di diritto privato del ricorrente è suscettibile di tutela giurisdizionale, anche in forma risarcitoria, a condizione che l'interessato ne alleghi e provi la lesione, nonché il danno subito in dipendenza dell'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione, senza che la pretesa risarcitoria possa fondarsi sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico, che non sussiste prima della stipula del contratto con la Pa.

La sentenza della Corte di cassazione n. 712/2020

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