Amministratori

Incompatibilità alla carica di consigliere per lite pendente, la notifica della rinuncia al ricorso evita la decadenza

di Michele Nico

Per rimuovere la causa di incompatibilità alla carica di consigliere comunale per lite pendente prevista dall'articolo 63, primo comma, n. 4) del Tuel è sufficiente la rinuncia al ricorso notificata all'ente locale dopo la proclamazione dei risultati elettorali, senza la necessità di un provvedimento del giudice amministrativo che abbia accertato l'estinzione del giudizio.
Questo è il principio affermato dal Tribunale di Verona, con l'ordinanza dell'8 gennaio 2020, nella causa promossa da un candidato eletto alla carica di consigliere di un Comune contro la delibera consiliare con cui gli è stata opposta causa di incompatibilità, per il ricorso che aveva proposto dinanzi al Tar Veneto contro il permesso di costruire con demolizione e nuova edificazione in ampliamento rilasciato dall'ente in favore dei proprietari confinanti con la sua abitazione.

Il fatto
Il ricorrente ha censurato, in particolare, la condotta del Comune che non ha considerato la sua rinuncia al ricorso, depositata presso la cancelleria del Tar e notificata all'ente subito dopo la proclamazione dei risultati elettorali, ai fini della rimozione della causa di incompatibilità all'esercizio delle funzioni di consigliere comunale.
Di contro, il Comune ha sostenuto dinanzi ai giudici che la pendenza di lite prevista dall'articolo 63, primo comma n. 4) del dlgs 267/2000 può dirsi cessata solo allorché il processo venga definito con una sentenza non più suscettibile di impugnazione ordinaria, ovvero, in caso di estinzione per rinuncia agli atti, solo dopo l'accettazione delle controparti alla rinuncia e, comunque, dopo la pronuncia del giudice in questo senso.
Per inquadrare la fattispecie del contenzioso va tenuto presente che ai sensi del suddetto disposto non può ricoprire la carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale colui che ha una lite pendente, rispettivamente, con il Comune o la Provincia, salvo il caso in cui la lite sia sorta da un fatto connesso con l'esercizio del mandato.
Dopo le elezioni il consiglio appena insediatosi ha contestato all'interessato la condizione di incompatibilità esistente e l'amministratore locale ha 10 giorni di tempo per formulare osservazioni o per eliminarne le cause.
Entro i 10 giorni successivi il Consiglio delibera definitivamente e, ove ritenga sussistente la causa di incompatibilità, invita l'amministratore a rimuoverla.
Qualora l'amministratore non vi provveda entro i successivi 10 giorni il consiglio lo dichiara decaduto.

La rinuncia alla lite
La divergenza interpretativa insorta in materia ha le sue radici nell'articolo 84 del Dlgs 104/2010 (codice del processo amministrativo), che disciplina il caso della rinuncia al ricorso in ogni stato e grado della controversia.
Secondo il tenore letterale della norma, l'effetto estintivo del processo dipende dall'elemento sostanziale della mancata opposizione alla rinuncia al ricorso dalle altre parti processuali che siano titolari di un interesse giuridicamente apprezzabile alla prosecuzione del giudizio.
Questo costrutto ha quindi indotto l'ente locale a escludere che la semplice rinuncia al ricorso possa costituire condizione da sola sufficiente a determinare la rimozione della menzionata causa di incompatibilità.
Il collegio ha respinto questa chiave di lettura sostenendo, in linea con la prevalente giurisprudenza, che la pronuncia di estinzione da parte del giudice non esplica efficacia costitutiva, avendo piuttosto carattere meramente dichiarativo di un fenomeno già verificatosi e i cui effetti si sono già prodotti.
Ma al di là di questo tecnicismo giuridico, è chiaro che la pronuncia si ispira a un'interpretazione sistematica orientata alla tutela dei principi fondamentali di salvaguardia dei diritti di libertà personali, tra cui rientra per certo anche il diritto di elettorato passivo.
In ragione di tutto questo i giudici scrivono che «in materia elettorale si giustifica una più rigorosa interpretazione delle norme che disciplinano le cause di ineleggibilità e di incompatibilità allo svolgimento di cariche elettive (...) al fine di garantire la massima possibilità di partecipazione di tutti i cittadini alla formazione del governo del territorio, anche a livello locale, nell'ambito di un assetto democratico - rappresentativo quale quello delineato dalla nostra carta costituzionale».
Di qui l'esigenza che le restrizioni stabilite nell'esercizio di detti diritti di libertà per il perseguimento di interessi pubblici contrapposti siano determinate in modo rigoroso e tassativo, nei limiti di quanto strettamente necessario alla tutela degli altri interessi costituzionalmente protetti di imparzialità, prestigio e trasparenza delle istituzioni.

L'ordinanza del Tribunale di Verona n. 7639/2019

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