Amministratori

Ricerca idrocarburi, sull'intesa della Regione decide il giudice amministrativo

di Francesco Machina Grifeo

Nessuna invasione di campo da parte del giudice amministrativo nell'annullare, nel 2017, la delibera della Regione Basilicata che, nel 2016, aveva negato l'Intesa sul rilascio del permesso di ricerca di idrocarburi, a una società, in una determinata area. Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 7456 di ieri, bocciando il ricorso proposto dalla Regione e dal comune di Brindisi di Montagna. Secondo i ricorrenti tale decisione oltre a ledere i poteri di governo del territorio da parte degli enti, interferiva sulle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni e allo Stato.

La Suprema corte, per prima cosa, richiama la decisione della Consulta (n. 224/2019) che ha bocciato la normativa regionale che prevedeva un divieto generale di prospezione e ricerca proprio perché violava i principi di leale collaborazione in materia di competenza concorrente tra Stato e regioni.

Non solo, per la Cassazione, «essendo l'atto d'intesa il risultato di un procedimento, non può escludersi la sindacabilità dello stesso innanzi all'autorità giurisdizionale». Né, tantomeno, prosegue la decisione, "il tono costituzionale" dell'intesa può «incidere sulla giurisdizione del G.A.», che «non si sostituisce all'amministrazione, ma si limita a esercitare il controllo sull'esercizio del potere».Nessuno sconfinamento nel merito dunque, considerato che il giudice amministrativo ha rilevato come il diniego di intesa da parte della Regione Basilicata non potesse limitarsi «ad un rifiuto aprioristico», ma avrebbe dovuto essere emanato «dopo l'esperimento di apposite trattative con l'amministrazione statale». In questo senso, prima il Tar e poi il Consiglio di Stato hanno rilevato che la delibera regionale «aveva fatto unicamente riferimento, recependole acriticamente, a delibere della conferenza permanente delle autonomie della regione Basilicata e del comune di Brindisi Montagna senza avere attivato alcuna iniziativa volta a superare il dissenso del comune e del Comitato no Triv». Dunque, come chiarito dal Cds, «l'omissione di una procedura articolata tale da assicurare lo svolgimento di reiterate trattative, rendeva già di per sé illegittima la delibera impugnata», considerata la mancanza, nella parte motiva, di «adeguate evidenze circa il necessario previo esperimento delle trattative imposte dall'indole bilaterale dell''intesa». Il vizio che ha inficiato la legittimità della deliberazione regionale va dunque ricercato nella carenza di motivazione dell'atto stesso. In definitiva, conclude la Cassazione, la lettura della sentenza del Consiglio di Stato «dimostra inequivocabilmente che il giudice amministrativo non sia incorso nel contestato travalicamento nel merito dell'azione stessa, avendo il sindacato giurisdizionale esercitato da G.A. attinto la deliberazione regionale non già sulle scelte della regione, quanto sulla carenza di motivazione dell'atto che il G.A. ha ritenuto riproduttivo di quel diniego di intesa che la legge regionale dichiarata però incostituzionale aveva riconosciuto all'ente regionale».

La sentenza della Corte di cassazione n. 7456/2020

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