Amministratori

Nella Fase 2 prove di collaborazione fra Governo e Regioni

di Ettore Jorio

Una «portentosa collaborazione istituzionale» è stata la sintesi con cui il presidente Conte ha chiuso la partita «riapertura» dalla quale è venuto fuori il decreto legge quadro n. 33/2020 (approvato nella tarda serata del 15 maggio e pubblicato il 16 scorso, grazie a un tempestivo visto notturno del presidente Mattarella) con il quale il Governo ha deciso di cambiare marcia. Di agire in maggiore conformità dei principi costituzionali, ma con tanti scettici al seguito riguardo alle scelte di merito, ritenute da tanti un po' azzardate.

Un buon esempio di autocritica costruttiva
Non più Dpcm a pioggia - peraltro con l'ultimo sempre pronto a «estinguere» i precedenti - ma un ulteriore decreto legge (il tredicesimo in epoca di coronavirus, di cui tre senza più efficacia) con il quale sono stati fissati i termini e le regole da valere per tutte le Regioni. Queste ultime potranno tuttavia intervenire autonomamente nel dettaglio, assumendosene tutte le responsabilità. Cioè solo per introdurre - così come potranno fare anche i sindaci limitatamente al loro comune in caso di mancato rispetto delle introdotte distanze di sicurezza (articolo 1, comma 9) - ulteriori restrizioni e qualche accortezza in più a tutela delle loro rispettive collettività. In caso di inerzia delle Regioni in presenza di obiettivi peggioramenti epidemici è prevista la clausola di salvaguardia ove a disporre sarà il Governo a tutela della salute pubblica.
E ancora. Nello spirito del decreto legge (articolo 1, comma 14) e del contenuto del successivo Dpcm 17 maggio scorso - il cui testo ha però rischiato, nella tarda serata del 16 maggio, di far saltare il banco dell'intervenuto accordo del Governo con le autonomie territoriali - le Regioni potranno scandire le modalità, le condizioni e i tempi per le riaperture delle attività produttive e sociali. Una base regolativa - di fatto elaborata dagli enti regionali e province autonome nel loro insieme in appositi «protocolli o linee guida» minuziosamente rappresentati in un allegato, formalmente recepito del Dpcm medesimo (il dodicesimo dei quali otto senza efficacia) - che consente alle Regioni un ampio spazio di manovra regolamentativa, con il contestuale obbligo per le medesime di assicurare (articolo 1, comma 16) il monitoraggio quotidiano dell'andamento dell'epidemia sui loro territori. Una opzione legislativa, introduttiva di una sorta di «libertà di ordinanza» già esercitata da parte di quasi tutti i Governatori, con limitazioni cautelative da parte di Piemonte e Sardegna (viaggi da e per) e con la Campania che ha, però, contestato l'impianto dell'Intesa accusando il Governo di «scaricabarilismo».

Ecco il ritorno alla regola corretta
Un provvedimento, quello approvato in base all'articolo 77 della Costituzione, cui viene rimesso il compito, secondo i condizionanti desiderata del Capo dello Stato, di sancire i principi fondamentali cui dovranno ispirarsi tutte le iniziative delle Regioni.
Con questo finisce la brutta esperienza caratterizzata da corse in avanti dei governatori più audaci, da stop della magistratura - del tipo quello sancito dal Tar della Calabria all'ordinanza n. 37/2020 della presidente Santelli - e da errate premature aperture di esercizio che hanno causato non pochi inutili esborsi economici da parte di imprenditori già in crisi.
Un decreto legge che, fatte salve scongiurabili forme di recrudescenza epidemica, pone le basi per una politica improntata alla leale collaborazione, alla più produttiva concertazione e all'unità nazionale. Una modalità di governo della Repubblica sulla quale potere altresì investire - con opportune azioni manutentive (anche di tipo costituzionale) da effettuare sull'attuale sistema - anche in termini di attuazione del regionalismo differenziato (del quale in questa occasione si è sentito in giro il «profumo»), ovviamente avviato a seguito dell'intervenuta entrata a regime delle regole di finanza territoriale introdotte dal federalismo fiscale, garante dei livelli essenziali delle prestazioni.
A tutto questo si è arrivati dopo un periodo pieno zeppo di paure sociali e di incomprensioni tra il Governo - che attraverso gli undici decreti del suo Presidente non ha affatto coinvolto il Parlamento, fatto salvo l'esercizio della conversione dei suoi decreti legge - e le Regioni, dove spesso a prevalere è stata la competizione politica piuttosto che le ragioni di tutelare il Paese intero dal Covid-19 nella più assoluta solidarietà.

I paletti ci sono, adelante con juicio
A ben vedere, con il decreto legge appena approvato si è perfezionata una legislazione che fissa i principi fondamentali e generalmente regolativi per tutto il Paese in termini di lotta al Coronavirus, con conseguente ritorno alla ragione unitaria nel rispetto dell'autonomia delle singole Regioni. Il tutto, attraverso una legislazione condivisa, che godrà dell'esame parlamentare, impeditiva dell'esercizio emotivo del potere dei Presidenti delle Regioni di produrre, troppo liberamente, ordinanze finalizzate a sancire sul proprio territorio regionale una disciplina differenziata funzionale ad allentare i divieti e i limiti posti dal Governo in tema di contenimento dell'espandersi della epidemia.
Queste ultime potranno tuttavia esercitare sul tema, oltre all'assunzione delle ordinanze presidenziali di carattere restrittivo dei criteri sanciti nell'adottato decreto legge, il potere di emanare ordinanze presidenziali massimamente attuative e approvare leggi di dettaglio e connessi regolamenti, da valere in tema di tutela sistemica della salute, e quindi assumere i conseguenti atti amministrativi applicativi.

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