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Consiglio di Stato, inammissibile l'impugnazione rilevata d'ufficio in assenza di discussione orale

di Gianluigi Delle Cave

Con ordinanza n. 3109 del 15 maggio 2020, la seconda Sezione del Consiglio di Stato, ha chiarito che, nell' udienza svolta in forma telematica senza la partecipazione dei difensori, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, Dl 17 marzo 2020, n. 18, convertito nella  Legge  24/2020 – che ha previsto il passaggio «in decisione senza discussione orale», in caso di rilievo d'ufficio di un profilo di inammissibilità della impugnazione –  deve essere fatta applicazione della disposizione dell’art. 73, comma 3, seconda parte, Cpa, dettata per l’ipotesi in cui la questione emerga dopo il passaggio in decisione, «assegnando alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie e riservando la decisione ad altra camera di consiglio».
Per quanto qui di interesse, l’appellante depositava – in sede di giudizio innanzi al Consiglio di Stato – atto di motivi aggiunti, con cui veniva dedotto un ulteriore profilo di illegittimità sulla scorta di altra controversia al Tar, regolarmente definita con sentenza. Proprio con riferimento a tale fattispecie, il Consiglio di Stato ha richiamato preliminarmente l’art. 104 c.p.a. che, come noto, non consente la proposizione di nuove domande in appello mentre ammette i motivi aggiunti «qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati». In buona sostanza, dunque, i motivi aggiunti in grado d’appello sono ammessi ma al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado mentre non sono comunque possibili «domande nuove» o «articolazioni addizionali della domanda già proposta in primo grado».
Con riferimento al caso di specie, i giudici di Palazzo Spada hanno preliminarmente chiarito come, a prescindere dalla individuazione del momento di conoscenza o conoscibilità del vizio dedotto dall’appellante, quest’ultimo «non è emerso dalla conoscenza di “documenti” prima non disponibili» ma dal contenuto di una sentenza, «che ha definito un giudizio in cui tale vizio era stato fatto valere, peraltro rispetto ad altra procedura». Il giudice di seconde cure, dunque, ha ravvisato un tipico profilo di inammissibilità dei motivi aggiunti rilevabile d’ufficio, che però «non ha potuto indicare alle parti all’udienza pubblica del 12 maggio 2020», come invece prescritto dall’art. 73 Cpa, «essendo stata tale udienza svolta in forma telematica senza la partecipazione dei difensori, ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6, Dl 17 marzo 2020 n. 18 conv. nella legge 24/2020», che ha previsto il passaggio «in decisione senza discussione orale».
Alla stregua di quanto sopra, dunque, il Consiglio di Stato ha ritenuto di fare applicazione della specifica disposizione di cui all’art. 73, comma 3, seconda parte, Cpa, dettata per l’ipotesi in cui la questione emerga dopo il passaggio in decisione, per cui «il giudice riserva la decisione e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie». In conclusione, dunque, il giudice dell’appello ha assegnato alle parti il termine di trenta giorni per il deposito di memorie relative alla questione di inammissibilità rilevata d’ufficio, decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza.

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