Amministratori

Dalle Regioni il toto-nomi per le nuove leadership

Con le tante decisioni complicate da prendere, tutto ci si aspettava tranne che per il Governo fosse difficile pure stabilire la data del voto regionale. È vero che fissare le elezioni comporta la ponderazione del rischio in relazione ai contagi ma l'ennesimo rinvio che c'è stato ieri nella scelta del giorno per le urne non riguarda tanto l'emergenza sanitaria ma piuttosto un punto politico che sta diventando delicato. Perché c'è un'opposizione che può essere molto più pericolosa per il Governo e che non è fatta da Salvini e Meloni ma dai Governatori di alcune Regioni, anche di centro-sinistra. Un'opposizione non necessariamente conflittuale con il Conte II ma certamente competitiva nella capacità di fare proposte, di contenere il virus o nel rappresentare il malessere di famiglie e imprese anche scaricando le responsabilità su Roma.

Ecco perché ieri c'è stato un nuovo rinvio nella scelta delle elezioni, nel tentativo di Palazzo Chigi di non creare un fronte con i presidenti di Regione che possono diventare una spina nel fianco in questa fase in cui serve il massimo di coordinamento. La decisione su quando si voterà nelle Regioni è quindi rinviata all'8 giugno: in ballo c'è sempre la data del 20 settembre, ma i Governatori sono compatti nel chiedere che si vada già al 6 o al 13 mentre Forza Italia e Fratelli d'Italia spingono per il 27. Come mai c'è questa guerra di date? Perché le Regioni si stanno giocando una partita in proprio, al di là anche dei partiti e delle coalizioni di appartenenza. In un momento in cui agli italiani non interessano le polemiche ma l'attitudine alla praticità e alle risposte concrete, è chiaro che Zaia conta quanto Salvini (se non di più) e De Luca può scavalcare Conte o Boccia nel dire la sua su quando e come riaprire i confini con la Lombardia. Quello dei Governatori è un protagonismo indotto dal contesto che per alcuni è diventata una gara anche sulla leadership. Tant'è che Zingaretti è stato l'unico tra i suoi colleghi a restare defilato sapendo che avrebbe interferito sulle stesse frequenze su cui si muove Palazzo Chigi e non avendo necessità di affermare il suo ruolo politico.

Una delle novità politiche dell'emergenza Covid, è anche nel fatto di aver creato un potenziale serbatoio di leadership nazionali tra una classe dirigente regionale che era non solo opaca ma anche piuttosto screditata dalle campagne anti-casta e anti-sprechi. Alcuni Governatori hanno saputo interpretare questa prima fase riscattando l'amministrazione, altri – come in Lombardia – finiranno sotto la lente – ma quel che è certo è che se una volta erano i sindaci a gareggiare per la prima linea politica, stavolta in fila ci sono i presidenti di Regione. E questo vale non solo per Zaia nel centro-destra ma anche nel Pd dove il Governatore dell'Emilia-Romagna Bonaccini ha potuto consolidare una reputazione dopo aver bloccato la campagna di Salvini per espugnare la roccaforte rossa. Adesso ha incassato un'altra vittoria riuscendo a contenere un'onda di contagi che premeva ai suoi confini, gestendo la riapertura con le imprese e conquistando una credibilità che può spendersi anche a livello nazionale. Il suo nome entra così nel toto-candidati del centro-sinistra non solo per le prossime elezioni nazionali ma anche prima, se dovesse aprirsi una crisi.

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