Amministratori

Comunicazione pubblica, a vent'anni dalla legge 150 pronti a partire con la riforma

di Sergio Talamo

Venti anni dopo. In questo giugno, la legge 150/2000 sulla comunicazione pubblica solca il suo secondo decennio con un bilancio in chiaroscuro, al punto che il prossimo 16 giugno sarà presentato al Ministero PA un Documento di indirizzo per la sua riforma, elaborato da un Gruppo di lavoro istituito dalla ministra Fabiana Dadone e composto dalle principali organizzazioni del giornalismo e della comunicazione insieme alle università, le Regioni, i Comuni e le associazioni civiche. Il “Gruppo di lavoro per la Riforma della Comunicazione pubblica e l’elaborazione di una Social media policy di indirizzo nazionale” ha lavorato 5 mesi, pandemia compresa, per raggiungere una traccia di riforma condivisa e praticabile. Il Documento tocca diversi punti, dall’istituzione di un’area unificata “comunicazione, stampa e servizi al cittadino” - una communication room in cui operino i profili distinti di giornalisti e comunicatori - alla gestione del primo accesso in materia di trasparenza, dal lavoro agile alla formazione continua, dal monitoraggio permanente alle politiche assunzionali. La bussola di tutto il progetto è la svolta digitale, orientata alla qualità del servizio al cittadino, mentre il metodo è la valorizzazione delle professionalità comunicative e giornalistiche, viste in un quadro unitario come “agenti” della citizen satisfaction.

L’approfondimento
Sono questi, in effetti, i punti deboli di un impianto normativo che, nel 2000, aveva suscitato grandi speranze di cambiamento. Il primo, l’uso sistematico e mirato del digitale, a quel tempo non poteva certamente essere previsto. Quasi tutte le Amministrazioni, per la verità, avevano un sito web, ma era ancora inchiodato al format statico delle origini, una sorta di vetrina di informazioni e servizi erogato unilateralmente dalla Pa-emittente. Ciò che è mancato negli anni successivi è ciò che Mario Morcellini, presidente della conferenza di Scienze della Comunicazione e attivo esponente del Gruppo di lavoro, ha definito “la manutenzione della legge”. Si è rimasti fermi ad uno schema anni ’90 imperniato sulle media relations e il contatto con il pubblico, fisico o tutt’al più telefonico. Una legge “comunicati e sportelli” che la burocrazia difensiva, sempre vigile nella Pa, ha avuto buon gioco a disapplicare sempre più, facendo tornare di attualità la “sindrome di Borgo San Lorenzo”: così la Federazione della Stampa aveva definito un caso in cui, nel 1997, un Sindaco venne condannato dalla Corte dei conti per aver assunto un giornalista professionista all’ufficio stampa, poiché «per la comunicazione non c’è bisogno di particolare professionalità». A favorire questa involuzione furono anche alcuni errori strategici delle organizzazioni del giornalismo e della comunicazione. Dopo essere state protagoniste della 150, incardinata sulla “separazione in casa” fra Urp e Uffici stampa, mantennero quella separazione come orizzonte professionale. Era invece evidente che l’irruzione del web apriva enormi possibilità da affrontare però con un approccio diverso e unitario.
Chi stabilisce, solo per fare un esempio, se la pubblicazione di una news sul sito abbia natura giornalistica o comunicativa?
A ciò si aggiunga una vaghezza strategica che può essere riassunta dai due principali scopi che la legge si auto-attribuiva: “Le attività di informazione e di comunicazione sono, in particolare, finalizzate a:
a) illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione; b) illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento” (articolo 5, commi 1 e 2). Una dimensione illustrativo-didattica davvero inadeguata a tempi in cui si punta al ruolo attivo di un cittadino codecisore delle politiche pubbliche.
Con l’evoluzione tecnologica e l’affermazione di social e chat, la dilatazione del perimetro comunicativo assume dimensioni inedite. La comunicazione e l’informazione si fondono con le ormai condivise esigenze di trasparenza totale. Il dialogo con il cittadino-utente non è più semplicemente “a due vie” ma costantemente arricchito da almeno due nuovi elementi: il feedback dell’utente, che valuta, verifica e aggiorna l’informazione erogata, e il tempo reale. Questi due elementi conferiscono al servizio pubblico una qualificazione nuova: per fare bene bisogna fare anche presto, il servizio non è generico ma va calibrato su esigenze specifiche, la prestazione va resa tracciabile e verificabile. Un processo di crescita del ruolo comunicativo che è emerso con evidenza nel periodo di lockdown. La rete dei comunicatori digitali, senza limiti di orario e distinzioni fra giorni feriali e festivi, ha operato per tenere attivo e aggiornato il front office pubblico, cuore pulsante di un’amministrazione moderna.
Lo scambio minuto per minuto di messaggi, informazioni verificate, consigli e buone pratiche ha prodotto due conseguenze:
1) La Pa è apparsa come un cantiere sempre aperto, dove si cerca il meglio, ma non il meglio dell’esibizione, il meglio del servizio: velocità e controllo delle fonti (che poi sono il sogno eterno del giornalismo);
2) La Pa diventa una sola: Regioni, Comuni, Ministeri, Camere di commercio, enti, agenzie e naturalmente aziende sanitarie. La Pa come unico luogo della comunicazione pubblica digitale. Una “casa di vetro0” che è anche casa del cittadino.
Conclusioni
La riforma della 150 (chiamata dagli operatori “legge 151”) vuol essere appunto un luogo del riconoscimento professionale
, una room dove giornalisti e comunicatori hanno in mano uno schermo, un tablet, un telefonino, i vecchi ferri del mestiere e le nuove frecce dell’arco comunicativo: profili social, chat, podcast, stories, live, chatbot e tutto ciò che l’AI inventerà. Obiettivo è uscire dal volontariato istituzionale, dalla condizione di marginalità indotta da una cultura delle procedure che considera il rapporto con i cittadini la periferia dell’amministrazione.
Il 16 giugno inizia un percorso che rimette la comunicazione al centro delle policy pubbliche, e si inserisce bene nel disegno di una ministra che interpreta il digitale come spina dorsale di tutte le riforme. E aggiunge: «Possiamo fare tutte le riforme che vogliamo, ma finché le persone non penseranno che lo Stato sono loro, che il cittadino può contare, nulla cambierà davvero».

 

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