Amministratori

Pagamenti, 9 ministeri su 12 in ritardo: al Viminale 93 giorni

L’ennesimo «sblocca debiti» della Pubblica amministrazione è appena partito, la sua ambizione è elevata e punta a liquidare almeno due terzi delle fatture arretrate degli enti territoriali.

Molto dipenderà dalla rapidità della risposta da parte di Regioni, enti locali e Asl, chiamate dal decretone anticrisi a bussare alla porta di Cassa depositi e prestiti entro il 7 luglio per ottenere le anticipazioni di liquidità e con questi soldi onorare le fatture scadute fino all’anno scorso. Anticipazioni a prezzi modici (il tasso è dell’1,226%), ripianabili in 30 anni. Che però, nonostante tanta generosità, non riusciranno a cancellare un problema su cui l’Italia ha già maturato una condanna della Corte Ue: per ora senza sanzioni, che tuttavia possono arrivare se l’ordinamento italiano non metterà in atto contromisure strutturali.

Ma in Italia gli sblocca debiti si ripetono ciclicamente proprio perché mentre le norme emergenziali provano a gestire il vecchio arretrato, la prassi delle amministrazioni ne genera di nuovo. Il confronto internazionale disegnato da Eurostat dice che la Pa italiana è la peggiore pagatrice d’Europa: le statistiche indicano da noi un arretrato intorno al 2,8% del Pil (i 50 miliardi chiesti da Confindustria agli Stati generali), contro l’1,5% del Pil in Germania e l’1,3% in Francia. Una parte di questo arretrato è “fisiologico”, prodotto da fatture tecnicamente non ancora scadute: ma con i termini inderogabili fissati dalla normativa europea recepita anche da noi fa in fretta a diventare patologico.

Un rapido viaggio fra le abitudini di pagamento dei ministeri, esclusi dall’ultimo decreto che si occupa solo di amministrazioni territoriali, fa emergere numeri interessanti, non solo sul piano simbolico. Nel governo i ministeri «con portafoglio», dotati cioè di budget e di autonoma capacità di spesa, sono 12: e 9 di loro pagano mediamente in ritardo rispetto ai termini di legge. Nei primi tre mesi dell’anno il Viminale ha portato in pagamento fatture che in media avevano 93 giorni di vita di troppo rispetto ai tempi dettati dalla legge. Al ministero della Difesa i giorni di ritardo medi sono 81, ai Beni culturali 38 e alle Infrastrutture 22. Giorni «medi», è il caso di ripetere: e la media è figlia di tante situazioni diverse, in cui la fila alla cassa contempla anche fornitori impegnati in attese decisamente più lunghe.

A denunciare questi numeri sono gli stessi ministeri, obbligati come tutte le pubbliche amministrazioni a pubblicare nella sezione del loro sito dedicata alla «trasparenza» un indicatore che la legge chiama con speranzosa audacia «tempestività dei pagamenti» anche se nell’ampia maggioranza dei casi ne misura la lentezza. Fuori dall’elenco dei cattivi pagatori per i primi tre mesi di quest’anno restano solo l’Ambiente (22 giorni di anticipo), l’Istruzione (pagamenti in linea con le scadenze di legge) e la Farnesina, quest’ultima però per il semplice fatto che finora ha taciuto il dato (ma l’anno scorso ha pagato con regolarità).

Quando dai ministeri si passa agli enti territoriali la realtà si fa ancora più ramificata. E spiega come mai, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, il tema torna periodicamente al centro del dibattito. Chi segue più distrattamente il tema lo pensa risolto dal padre di tutte le norme libera-pagamenti, il decreto Letta del 2013, o da Renzi che promise a Porta a Porta di salire a piedi al Monte Senario se l’ultimo debito della Pa non fosse stato pagato entro il 21 settembre 2014. Sono passati quasi sei anni. E il problema c’è ancora.

Si è tornati a discuterne anche ieri alla Camera, dove è stato respinto un emendamento della Lega al decretone anticrisi per attivare una compensazione a tutto campo fra debiti e crediti verso la Pa. Lo stesso tema è stato sollevato dal piano Colao, e sarà riproposto al ministro dell’Economia Gualtieri quando la settimana prossima tornerà a Montecitorio chiamato dall’opposizione a discutere sulle proposte di ritocchi al decreto anticrisi: che però in Parlamento può contare solo su 800 milioni. Pochini per risolvere davvero un problema multimiliardario.

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