Appalti

Cantieri «4.0» per 2,6 miliardi, oggi incontro al Mit per sbloccare il decreto sugli appalti

È ancora minoritaria ma in rapida crescita la richiesta di gestione digitale di progettazione e cantieri, sia pubblici che privati. La rivoluzione del «Building information modeling» (Bim), sta, neppure troppo silenziosamente, facendosi largo nei cantieri. Non solo in quelli di maggiore dimensione. Sicuramente in quelli gestiti dalle Pa più accorte.
L’impennata è documentata da uno studio della società di engineering Anafyo che domani presenterà a Roma (nella sede dell’Ance) il secondo rapporto sulla diffusione del Bim in Italia. Il Bim è lo strumento cui è affidato il compito di rivoluzionare la gestione dei processi costruttivi. Perché permette a tutti i soggetti impegnati nel progetto (architetti, strutturisti, impiantisti, costruttori) di collaborare senza diaframmi e in tempo reale. Si possono così prevenire errori, scovare nuove soluzioni, dettagliare in anticipo le fasi di manutenzione post-cantiere: insomma, risparmiare tempi e costi di realizzazione e gestione.

Il modello Bim
Secondo Anafyo, nel 2016 il valore degli appalti che richiedevano progettazione o gestione in Bim è salito a quota 2,6 miliardi. Era a un miliardo appena un anno prima. «Ci sono due aspetti da sottolineare - dice Edoardo Accettulli, che ha curato lo studio -. Il primo è la crescita dei valori, saliti di una volta e mezza in 12 mesi. La seconda è il netto miglioramento della qualità delle richieste formulate dai soggetti appaltanti». Se prima ci si accontentava di formule generiche «oggi, sia che si prepari il bando in proprio, sia che ci si affidi a soggetti specializzati, le richieste sono molto più specifiche». L’80% della domanda si concentra al Nord. Ma ci sono importanti testimonianze anche al Sud. Come quella del campus di Potenza (valore 23 milioni) che sarà completamente gestito in Bim . A fare la parte del leone sono le infrastrutture, dove pesa la presenza dell’appalto da 1,3 miliardi per il cantiere del traforo del Brennero. Senza considerarlo, le infrastrutture rappresenterbbero comunque il 40% del valore delle opere in Bim. Ci sono poi uffici (29%), ospedali (22%) e scuole (4%).

Il decreto delle Infrastrutture
Un’accelerazione sul fronte dei lavori pubblici potrebbe arrivare con il decreto che il ministero delle Infrastrutture sta per licenziare, in attuazione del Codice appalti: avrà il compito di fissare una road map di obblighi. Il suo percorso è stato travagliato. La commissione incaricata di scrivere la bozza, guidata dal provveditore alle Opere pubbliche di Emilia Romagna e Lombardia Pietro Baratono, si è insediata a fine luglio. Dopo una fase di audizioni, a inizio 2017, i lavori sembravano in dirittura d’arrivo, tanto che cominciavano a emergere le prime indiscrezioni: vincoli già nel 2019 per i lavori di grande importo e una fascia di piccoli appalti sempre esente. Le cose, poi, si sono arenate.
Le indiscrezioni di queste settimane parlano di contrasti tra l’impostazione della commissione e quella del legislativo del Mit. Con due punti di disaccordo. Il primo riguarda un possibile riferimento alle norme tecniche dell’Uni. Il secondo è legato alle stazioni appaltanti. L’utilizzo del Bim, infatti, andrebbe agganciato a un certo livello di qualificazione delle Pa. Sulle modalità con le quali misurare queste capacità, però, non è stata individuata una strada condivisa. Anche perché, nel frattempo, non ha ancora completato il suo percorso un altro decreto strategico, in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti: il combinato disposto di questi due testi dovrà dire quando una Pa ha le competenze necessarie a mandare in gara un bando Bim. Il superamento di questa impasse sembra, però, molto vicino. Oggi una riunione tecnica del Mit è convocata per sciogliere gli ultimi nodi e definire le tappe della road map.

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