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Studi d’artista, la destinazione d'uso si può cambiare se non ci sono più i limiti del diritto di proprietà

di Solveig Cogliani

Alla luce della normativa vigente gli studi d'artista si pongono come una categoria speciale di beni culturali che viene tutelata e conservata solo qualora vi sia un effettivo collegamento tra l'immobile e l'attività svolta al suo interno, nonché con le testimonianze in esso contenute, le quali siano suscettibili di formare un patrimonio culturale collettivo passibile di apertura al pubblico. Lo ha ribadito il Tar Lazio, Roma, Sezione II quater, con la sentenza del 4 settembre 2017, n. 9533.

Il caso
Il Tribunale amministrativo di Roma è stato chiamato a pronunziarsi sul ricorso presentato dal proprietario di un immobile (figlio di un famoso artista ormai deceduto) contro il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per l’annullamento del decreto emanato dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale del Lazio con il quale era stata respinta l’istanza di revisione della destinazione d’uso dell’immobile, presentata dal proprietario medesimo (ai sensi dell’articolo 128, comma 3, Dlgs 42 del 2004), per la persistenza dei motivi di interesse dei locali adibiti a «studio d’artista».
Secondo la Commissione, infatti, anche al momento dello sfratto del figlio dell’artista – dopo molti anni dall’avvenuto decesso di quest’ultimo -  il sopralluogo aveva evidenziato la presenza all’ interno dello studio non solo di 86 gessi di sculture sottoposti a tutela, ma anche di altre 223 opere.
Da un lato la Commissione evidenziava la sussistenza del  carattere originario di «studio d'artista» in relazione all'inscindibilità delle opere presenti dall'immobile, che conservava ancora il ricordo dei grandi personaggi del mondo politico, artistico e culturale del XX secolo, sia italiano che internazionale, con i numerosi ritratti ancora esposti sulle scaffalature; dall’altro, il fatto che il locale costituisse uno dei pochissimi studi d'artista ancora presenti in loco, a testimonianza dell'antica vocazione della zona (in Via Margutta).

La decisione
Nell’accogliere il ricorso il Tribunale amministrativo di Roma, richiamando la giurisprudenza formatasi sul punto (Tar Abruzzo, Pescara, n. 121 del 2013 e Consiglio di Stato, Sezione VI, n. 4198 del 2011), ha ribadito la natura di universitas rerum dello «studio d’artista», rappresentativa della vita professionale dell'artistaed ha precisato i caratteri imprescindibili per l’imposizione del vincolo e le restrizioni al diritto di proprietà derivanti dall’articolo 51, Dlgs n. 42/2004.
Di seguito i caratteri che devono ricorrere per l’apposizione del vincolo sull’immobile:
1) che l'artista abbia esercitato la sua personale attività di produzione artistica nell'immobile de quo, circostanza che instaura quel peculiare legame tra artista e immobile esplicativo della vicenda della sua propria vita artistica;
2) che, per converso, tale stato di fatto non risulti, al momento della imposizione del vincolo, modificato irreversibilmente e dunque non risulti reciso il nesso sopra individuato;
3) che il collegamento tra l'artista e l'immobile non sia, d'altra parte, occasionale o insignificante.
Nella specie il Tar ha riconosciuto che il locale avesse perso le caratteristiche proprie dello «studio d’artista» per essere divenuto ormai un mero magazzino di residui cimeli.

Il giusto equilibrio tra la tutela del bene culturale e la proprietà
La decisione del Tar Lazio segnalata fa applicazione del principio di proporzionalità, affermando l’illegittimità del provvedimento nella parte in cui esso ha compresso notevolmente il diritto di proprietà del ricorrente senza un motivato e dimostrato beneficio per l’interesse pubblico.
Tale principio costituisce il canone del bilanciamento tra l’interesse pubblico perseguito dall’azione dell’Amministrazione ed il diritto fondamentale sacrificato, utilizzato anche dalla Corte di Strasburgo nelle verifica delle violazioni all’articolo 1, Protocollo 1, Cedu.

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