Appalti

Il nodo della disciplina locale

La semplificazione edilizia è paradossalmente ostacolata dalle stesse leggi che la propugnano. Non è agevole stare al passo con i continui cambiamenti che hanno portato dalla licenza alla concessione edilizia e al permesso di costruire, dall’autorizzazione, alla Dia, alla Scia, dalla relazione asseverata, alla Cil alla Cila, per non parlare delle procedure ambientali, paesaggistiche e culturali che, anch’esse in continua evoluzione, si incrociano con le regole dello sportello unico.

Ma non si può dire che si stava meglio quando si stava peggio. Buona parte degli interventi che dovrebbero farci sentire “padroni in casa propria” (era l’epiteto di un decreto sulle liberalizzazioni di inizio 2000) sono completamente liberalizzati e anche tanti interventi di rilievo (fino all’integrale demolizione e ricostruzione di un palazzo) possono oggi partire nel momento stesso in cui si deposita con la Scia il progetto in comune.
Tanta strada è stata fatta, eppure la sensazione continua ad essere che nell’edilizia non ci sia certezza, che la burocrazia rallenti se non blocchi gli interventi necessari per la riqualificazione delle nostre città impone.

In effetti non è un tema di procedure (anzi, sarebbe tempo di fermare l’ipertrofia normativa per dar modo ad un quadro quanto mai stratificato di consolidarsi), ma delle regole sostanziali sul cosa si può costruire.
Le norme tecniche di attuazione dei piani urbanistici (strumenti sempre più articolati e differenziati da regione a regione, da comune a comune) e dei regolamenti edilizi compongono una rete quasi inestricabile di indirizzi, principi, norme di dettaglio eccezioni e deroghe che gli stessi uffici comunali non riescono ad interpretare e spesso ad applicare.
Ed è forse qui che nasce la cosiddetta deregolamentazione: sia il cittadino a certificare la qualifica dell’intervento (risanamento o ristrutturazione?), la conformità del cambio d’uso, il rispetto di Rc, If, H, D, Slp/Sul (per citare solo alcuni degli acronimi del lessico stereometrico).

Al Comune resta così solo il potere del successivo controllo, che ha portata devastante perché interviene a posteriori, spesso a lavori in corso e comunque ad investimenti fatti.
In questo quadro di oggettiva incertezza la verifica con gli uffici viene fatta prima della presentazione della Scia, facendo rientrare dalla finestra buona parte della speditezza che le continue riforme vorrebbero accompagnare alla porta.
Insomma, per accelerare davvero l’edilizia ci vorrebbe “ben-altro”. Cosa?
La penna del legislatore nazionale (oltre ad aver fatto quasi troppo) è comunque spuntata, perché in materia la competenza è in concreto nelle mani delle Regioni, che tuttavia spesso non raccolgono i principi di normalizzazione statale. Si pensi al regolamento edilizio tipo, che solo 5 Regioni hanno recepito, e alla disciplina sul cambio d’uso che il Governo ha vanamente cercato di standardizzare camminando sulle uova delle competenze locali.
Il vero nodo da sciogliere è dunque quello della regolamentazione locale, che deve essere semplice, stabile (non affetta dallo spoil system) e il più possibile omogenea tra amministrazioni diverse.
È una questione di cultura della buona amministrazione, in cui il legislatore può fare poco.

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