Appalti

Oneri di urbanizzazione da ricalcolare in caso di errori

Gli oneri di urbanizzazione possono essere restituiti o ricalcolati anche dopo il versamento. Sia il privato sia il Comune possono, a certe condizioni, chiedere la restituzione o l’integrazione di quanto versato. È quanto statuito dal Consiglio di Stato con una sentenza (la 4515 del 27 settembre 2017) che ha ricordato come le originarie determinazioni possano sempre essere rivisitate, se affette da errori.
Il contributo concessorio è determinato con deliberazione del Consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che le Regioni definiscono per classi di Comuni. Per il rilascio di uno specifico permesso di costruire, il computo degli oneri dovuti è effettuato dal Comune che, applicando i coefficienti indicati nella tabella e parametrandoli al progetto presentato dal privato (tipologia di intervento, destinazione d’uso, numero di metri quadrati assentiti), determina l’ammontare finale del contributo dovuto.

Le correzioni

Il Consiglio di Stato ha chiarito che la determinazione comunale che esprime il computo degli oneri obbedisce a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad applicare detti parametri e, per questo ne esclude ogni discrezionalità applicativa.
La determinazione degli oneri, quindi, è espressione non di un potere autoritativo bensì di un potere paritetico tra Comune e privato. È proprio sulla natura paritetica dell’atto comunale che si fonda il diritto di rideterminazione futura degli oneri: essendo un atto paritetico, l’amministrazione può apportarvi rettifiche. E tali modifiche possono essere sia a favore del privato che dell’amministrazione.

I tempi

Fino a quando l’amministrazione (o il privato) possono richiedere nuovi conteggi? Sul punto la giurisprudenza è chiara: le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di una obbligazione legale, concernono diritti soggettivi e rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo. Per questo, la domanda può essere proposta nel termine della prescrizione ordinaria: dieci anni che decorrono da quando il credito può esser fatto valere, ossia dal momento del rilascio della concessione (Tar Firenze, 14 febbraio 2017 n. 261).
La domanda per chiedere la restituzione o l’integrazione degli oneri viaggia, quindi, su un binario diverso rispetto ai diritti connessi al permesso di costruire: sarà possibile, infatti, proporla anche se non è stata proposta impugnativa del provvedimento impositivo del contributo o del permesso di costruire.
Nella pratica accade che la determinazione del contributo viene resa nota al privato che ha chiesto il titolo edilizio con una comunicazione preventiva, in cui si determina l’importo, si indica la possibilità di rateizzazione e si annuncia che, una volta pagato il contributo (in misura completa o rateizzata), sarà emesso il permesso di costruire. Può, quindi, succedere che, un privato che, attendendo un permesso di costruire, si veda attribuire un contributo di costruzione che non ritiene legittimo, proceda al pagamento, ritiri il permesso e avvii i lavori. Entro dieci anni dal permesso, poi, potrà sempre proporre la domanda per la restituzione di quanto dovuto (o della parte che non ritiene legittima) senza che possa essergli validamente opposta la mancata impugnativa del permesso di costruire. Stesso principio per i Comuni: possono notificare ai titolari del permesso una nuova comunicazione di correzione dell’importo computato.
Dall’assunto per cui la determinazione del contributo deve necessariamente seguire criteri e limiti determinati dalla legge deriva che la delibera comunale che determina gli importi degli oneri concessori è sottratta all’obbligo di motivazione (Consiglio di Stato, 30 ottobre 2017, n. 4989) e che non sono possibili accordi privati di natura contrattuale volti a disciplinare la definizione pattizia dell’ammontare, in difformità dai canoni di legge (Tar Napoli, n. 4132 del 1° settembre 2016).

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