Appalti

Condono, la sanatoria del vicino non legittima l'abuso

di Mauro Calabrese

I provvedimenti di diniego del condono edilizio, pur frutto di valutazione tecnica, hanno natura vincolata all’accertamento del rispetto dei presupposti di legge per la concessione della sanatoria, non potendo il trasgressore fare affidamento sulla concessione, eventualmente illegittima e annullabile, in sede giurisdizionale o amministrativa, di analoghi provvedimenti per altri abusi simili compiuti dai vicini.

Consiglio di Stato
Così il Consiglio di Stato, sezione VI, con la sentenza 11 dicembre 2017, n. 5798, ha respinto il ricorso di un proprietario contro il provvedimento di diniego di condono edilizio adottato dal Comune relativamente alla realizzazione di un piazzale per deposito di materiali edili, non condonabile in quanto in zona vincolata, con conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi, non potendo il ricorrente confidare nella concessione di un provvedimento analogo a quelli, peraltro di dubbia legittimità, rilasciati per altri abusi nella medesima zona.

Area vincolata
Nella procedura di condono, dopo l’iniziale autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune, era, con decisione, intervenuta la Soprintendenza competente per il vincolo apposto su una area boschiva di particolare pregio paesaggistico e naturalistico, annullando i provvedimenti comunali e obbligano l’Amministrazione locale ad adottare l’atto negativo definitivo e la relativa sanzione di ripristino, avendo l’edificazione alterato i caratteri paesaggistici dell’area, in totale assenza delle prescritte autorizzazioni, in particolare con l’eradicazione di un vigneto preesistente.

Disparità di trattamento
A sostegno del ricorso, il proprietario vantava l’illegittima disparità di trattamento da parte dell’Amministrazione, a suo dire motivata dalla analoga concessione di provvedimenti di sanatoria per analoghi abusi realizzati nella stessa area vincolata, citando, in particolare, il provvedimento condono concesso a un vicino a favore di una piscina.

Motivazione puntuale
In primo luogo, rilevano i giudici amministrativi, i provvedimenti impugnati risultano adeguatamente motivati, in relazione alla carenza di presupposti per la concessione in sanatoria, laddove l’irragionevole disparità di trattamento per situazioni reputate identiche, deriva solo per ipotesi di assoluta identità di condizioni di fatto; nel caso in esame, invece, l’intervento edilizio realizzato differisce radicalmente da quelli simili portati a paragone, comportando una diversa valutazione paesaggistica dell’impatto provocato, in particolare se si confronta la mera difformità nell’esecuzione di una piscina interrata, peraltro autorizzata, rispetto a un piazzale deposito di materiali edili privo di titolo edilizio.

Atto vincolato
Peraltro, prosegue il collegio di Palazzo Spada, i provvedimenti negativi di condono edilizio, seppure frutto di valutazione tecnica, costituiscono esercizio di un potere vincolato, una volta accertata la carenza dei presupposti di legge per la sanatoria degli abusi perpetrati, attenendo invece la censura di disparità di trattamento all’esercizio di poteri discrezionali, per cui l’eventuale, peraltro illegittima e annullabile, concessione in sanatoria a favore di abusi insanabili, in virtù del medesimo vincolo, non legittima il terzo a confidare in un identico trattamento.

Errori macroscopici
Così delineato il quadro normativo in materia edilizia, vincolato al ripristino della legalità violata in presenza di abusi non condonabili, il vizio di irragionevole disparità di trattamento rispetto ad abusi simili, può derivare solo in presenza di errori e difformità macroscopici, in presenza di situazioni del tutto identiche, in fatto e in diritto, tali da suggerire un arbitrario esercizio del potere amministrativo; nel caso deciso, invece, l’Amministrazione locale ha correttamente valutato l’incompatibilità delle opere realizzate con il vincolo tutelato, richiamato il parere della Soprintendenza, con inevitabile applicazione della sanzione fondamentale in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici, ovvero la rimessione in pristino.

Sanzione pecuniaria
Sul punto, in conclusione, la sentenza respinge anche le riserve appuntate contro la mancata condanna al mero pagamento di una sanzione pecuniaria, al posto della sanzione ripristinatoria, ribadendo come la condanna al pagamento di una somma di denaro equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito, quale alternativa alla demolizione, può essere adottata solo a seguito di approfondita valutazione, da parte dell’Amministrazione comunale, sulla scorta del parere dell’Autorità preposta al vincolo, in merito al miglior interesse alla protezione delle bellezze naturali e paesaggistiche, in rapporto all’abuso commesso.

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