Appalti

Investimenti pubblici, al Sud solo 0,8%

Italia al quartultimo posto tra i paesi europei nella spesa 2017 dei fondi strutturali Ue (aree svantaggiate, circa due terzi al Sud nel caso dell'Italia). Alla fine dell’anno 2,833 miliardi su 51,7, e cioè il 5,6% sul totale della programmazione 2014-2020 (2023 il termine effettivo), contro una media europea del 10,5%, e 24 paesi su 28 che fanno meglio di noi: Germania al 18,1%, Francia al 12,8%, Grecia al 15,7%, Polonia al 10% Portogallo al 20,8%, Regno Unito al 9%. Peggio di noi solo Romania (3,7%), Slovenia (3,6%), Irlanda (2,7%).

Se ci limitiamo al Fesr (infrastrutture e investimenti produttivi), la spesa 2017 si è fermata al 4,6%, peggio ha fatto solo la Slovenia (1,6%), mentre (tra i maggiori beneficiari) il Portogallo è al 21%, la Francia al 10,7%, la Germania al 14,1%, la Grecia al 13%, la Polonia al 9,6%.

Questi dati (elaborazioni Ance su fonte Commissione Ue) sono l’ennesima dimostrazione della difficoltà del nostro Paese nel fare investimenti pubblici, soprattutto al Sud: la Svimez segnala «un divario infrastrutturale del Sud Italia aumentato negli ultimi trent’anni, sia rispetto all'Europa che al Centro-Nord Italia», e al tempo stesso un calo progressivo decennale della spesa in conto capitale della pubblica amministrazione dal 3,9% del Pil del 2009 (dato complessivo Italia) al 2,2% del 2016, con il Sud strutturalmente lontano: dall’1,4% del Pil (del Sud) nel 2009 allo 0,8% del 2016. Nel 2017 gli investimenti fissi lordi della Pa (Istat 1° marzo) sono ulteriormente calati del 5,6%, quando il Def di un anno fa prevedeva un aumento del 2,8%.

Non ci sono ancora dati "separati", «ma crediamo – spiega il vice-direttore della Svimez Giuseppe Provenzano – che il rapporto Mezzogiorno-Italia non sia cambiato. Il che è preoccupante, perché l’effetto moltiplicatore degli investimenti pubblici al Sud, su Pil e occupazione, è molto superiore rispetto al Centro-Nord».

La quota di investimenti pubblici al Sud sul totale Italia è calata dal 40% del 2000-2002 al 37% del 2016.

«L'austerità non c’entra più – prosegue Provenzano – ci sono finanziamenti pubblici e non più i vincoli di bilancio agli enti locali. Il punto è che non facciamo investimenti pubblici perché non li sappiamo più fare: c’è un calo di capacità amministrativa e progettuale delle Pa».

I governi Renzi e Gentiloni hanno stanziato risorse – stima l’Ufficio studi Ance – per 140 miliardi di euro per investimenti infrastrutturali da realizzare nei prossimi 10-16 anni (a seconda dei casi), di cui il 60% nel Mezzogiorno (83 miliardi). L’Anas ha un programma fresco di approvazione che vale 33 miliardi, di cui circa il 55% al Sud; Rfi ha risorse per 56 miliardi di euro, con quota al Sud pari al 27% (45% nell’ultimo Contratto da 13,2 miliardi).

Ma il nodo è rilanciare la spesa vera, e come abbiamo visto i dati sono ancora negativi. Il Cipe ha approvato il 22 febbraio - per fare un esempio - il 3° mega-lotto della superstrada Ionica da 1,3 miliardi di euro, ma si tratta di un’opera Anas andata in gara nel 2008, e da allora ancora ferma tra mille traversie progettuali e burocratiche. La Linea 1 della metropolitana di Napoli, 1,5 miliardi di euro, messa in croce nei giorni scorsi dalla Corte dei conti, è arrivata a 18 anni dall’avvio all’80% circa di spesa. Il raddoppio stradale Agrigento-Caltanissetta, 754 milioni, avviato nel 2011, è fermo al 23% di spesa (dati Open Coesione).

«Il Sud ha bisogno di investimenti – sostiene il presidente dell’Ance, Gabriele Buia – ma bisogna snellire le procedure, dal Codice appalti ai doppi e tripli passaggi al Cipe, o tra i Ministeri e alla Corte dei Conti».

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