Appalti

Illecito l’appalto di servizi per la fornitura di ore di lavoro

Un appalto di servizi non può prevedere la semplice messa a disposizione di un pacchetto di ore di lavoro in favore di un terzo, rese da addetti coordinati dal soggetto che riceve la prestazione: questa operazione configura una somministrazione di personale e, come tale, può essere realizzata solo dalle agenzie per il lavoro autorizzate a tale scopo dal ministero del Lavoro. Il Consiglio di Stato (sentenza n. 1571/2018) ricorda questo principio tanto scontato a livello normativo e teorico (non mancano i precedenti al riguardo), quanto disatteso a livello applicativo (il modello oggetto della controversia è, infatti, molto diffuso nel mercato dei servizi).

Il caso
La vicenda riguarda il bando di gara predisposto da una Asl per l’affidamento a terzi, mediante contratto di appalto, del compito di svolgere alcune attività di supporto ai propri uffici (supporto giuridico, amministrativo, tecnico e contabile; supporto e gestione dei servizi centrali, distrettuali e ospedalieri; archiviazione, data entry e front office; supporto amministrativo contabile; segreteria).
Un’agenzia di somministrazione di manodopera ha impugnato il bando, sostenendo che le attività messe a gara non potevano essere configurate come un appalto di servizi, ma si concretizzavano in una somministrazione di personale.
Il Consiglio di Stato, rovesciando la pronuncia del Tar, ha accolto il ricorso dell’agenzia, ricordando i criteri definiti dalla Corte di cassazione per smascherare gli appalti illeciti: la richiesta di un certo numero di ore di lavoro; l’inserimento stabile del personale nel ciclo produttivo del committente; l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore e dai dipendenti del committente; la proprietà del committente delle attrezzature necessarie per l’attività e l’organizzazione da parte del committente dei dipendenti dell’appaltatore (Cassazione 3178/2017).
Questi indici sono presenti, secondo il Consiglio di Stato, nel bando oggetto della controversia. L’Asl prevede, infatti, di acquistare un numero di ore di lavoro annue per integrare il personale interno, in modo da garantire il regolare svolgimento delle proprie attività. Tale impostazione sfugge alla logica tipica dell’appalto di servizi, nel quale l’appaltante affida all’appaltatore lo svolgimento di prestazioni connesse a un preciso risultato, finalizzate alla realizzazione di un’opera dotata di consistenza autonoma.
Nel bando neppure è previsto che l’appaltatore metta a disposizione mezzi e attrezzature: il personale dell’appaltatore deve utilizzare, infatti, mezzi e attrezzature della Asl (quali computer, cancelleria, fotocopiatrici), prestando la propria attività presso la sede della stessa.

La decisione
Il Consiglio di Stato rileva, inoltre, la carenza di misure finalizzate a scongiurare l’interferenza e la commistione tra i dipendenti di committente e appaltatore, e l’assenza di confini certi nelle rispettive fasi di produzione. Le generiche clausole del capitolato secondo le quali «i servizi verranno svolti con esclusiva organizzazione, responsabilità e rischio della ditta aggiudicataria» vengono considerate ininfluenti, a fronte dell’assenza di elementi concreti in grado di confermare l’autonomia imprenditoriale dell’appaltatore.
Manca, infine, il rischio di impresa, considerato che l’aggiudicatario non si fa carico dei costi per l’acquisto e l’organizzazione dei mezzi e non dimostra un apporto di capitale, di know-how e di beni immateriali.
Il fenomeno dell’appalto illecito ha dimensioni molto ampie e contribuisce a generare fenomeni di dumping contrattuale tra le imprese; un approccio rigoroso della giurisprudenza è positivo, in quanto può contribuire a frenare gli abusi.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1571/2018

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