Appalti

Interdittiva antimafia, non scatta l’infiltrazione per dipendenti «sospetti»

di Paola Rossi

Non si può far ricadere de plano sull’imprenditore la responsabilità delle condotte penalmente rilevanti, dei carichi pendenti, dei precedenti o, addirittura, dei legami familiari dei propri dipendenti per far scattare un’interdittiva antimafia. In particolare se parte dei dipendenti individuati come parenti o contigui ad ambienti mafiosi siano alle dipendenze dell’impresa in conseguenza della clausola sociale del Codice appalti che impone il mantenimento del personale, già alle dipendenze del precedente appaltatore, nei servizi ad alta intensità di manodopera. Così il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3138/2018 ha posto neL nulla l’interdittiva emessa dal prefetto contro l’impresa ricorrente.

Interdittiva - Cioè - chiarisce Palazzo Spada - che a giustificazione di un’interdittiva antimafia non esiste alcun automatismo tra presenza di dipendenti «controindicati» e tentativo di infiltrazione mafiosa. Per arginare tale rischio di inquinamento di un settore economico non si può non tener conto dei reali strumenti posti a disposizione dell’impresa per verificare la potenzialità mafiosa di chi assume. Infatti, ciò che può essere noto attraverso il casellario giudiziale non è lo stesso ordine di dati che sono al limite più facilmente rilevabili dalle attività di polizia sul territorio, come l’appartenenza familiare a un clan. Come dire, che il prefetto deve valutare in concreto la condotta dell’imprenditore in relazione ai fattori di rischio. Ovvio, che l’assunzione di dipendenti in odore di mafia o legati per qualsiasi motivo all’organizzazione criminale costituiscano il cavallo di Troia con cui il crimine può permeare, al fine di condizionarlo, un dato settore economico nella realtà territoriale dove alligna.

Indizi di infiltrazione - Va quindi valutato non tanto il mero dato che un'impresa abbia alle proprie dipendenze pregiudicati o persone sospettate di essere contigue ad ambienti mafiosi, ma soprattutto se la presenza delle figure accertate in azienda sia concreto sintomo del potere della criminalitàdi indirizzare le politiche assunzionali dell'impresa cercando perciò di inquinarne la gestione aziendale. Nel caso specifico il Consiglio di Stato ha escluso l’esistenza di sintomatici comportamenti dell’imprenditore tali da farlo passare dalla parte di chi subisce inconsapevolmente tentavi di infiltrazione a quella di chi attivamente e coscientemente sia omogeneo all’ambiente mafioso. Palazzo Spada nel prendere la propria decisione ricorda alcuni precedenti che definiscono quali siano le situazioni che costituiscono elementi indiziari del tentativo di infiltrazione mafiosa «l'assunzione esclusiva o prevalente, da parte di imprese medio-piccole, di personale avente precedenti penali gravi o comunque contiguo ad associazioni criminali». Non può dunque sussistere alcun automatismo fra presenza di dipendenti controindicati e tentativo di infiltrazione mafiosa.

La sentenza del Consigliio di Stato n. 3138/2018

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