Appalti

Accertamenti antimafia ad ampio raggio sui consorzi con attività esterna

di Paolo Canaparo

Il recente intervento del Viminale sulle modalità di rilascio dell’informazione antimafia richiesta per un consorzio con attività esterna, parte dall’articolo 85, lettera b) del Dlgs 159/2011, che richiama esplicitamente questo specifico soggetto economico (nota gabinetto del ministro n. 11001/119/20(8)) .
La questione è rilevante per impedire a singoli imprenditori già toccati da sospetti di permeabilità mafiosa e, dunque, estromessi dal perimetro dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, di eludere il divieto ricorrendo allo schermo di copertura del consorzio.
La norma, per i consorzi con attività esterna, stabiliva l’ìobbligo di acquisire la documentazione antimafia per i soli consorziati con una certa partecipazione (superiore al 10% o, in alternativa, inferiore al 10% con patto parasociale riferibile a una partecipazione pari o superiore al 10%). In unottica ampliativa del sistema dei controlli, la soglia è stata prima eliminata dall’articolo 27 della legge 17 ottobre 2017 n. 161, e successivamente fissata al 5% con la legge di bilancio 2018.

Le ipotesi di contagio mafioso
La corretta interpretazione delle norme presuppone alcune sintetiche considerazioni su natura e funzione della documentazione antimafia, ormai considerato principale strumento di prevenzione amministrativa nel contrasto alla criminalità organizzata, volto a salvaguardare ordine pubblico economico, libera concorrenza tra le imprese e buon andamento della Pa.
La collocazione sistematica dell’istituto nel libro II del Codice antimafia ne rivela l’estraneità, già solo formale, rispetto all’apparato delle misure penali o parapenali, comprese quelle di prevenzione personale disciplinate nel libro I. Tuttavia, il ministero dell’interno sottolinea che se le comunicazioni antimafia mantengono un legame con tale apparato in relazione al loro contenuto vincolato di tipo accertativo, le informazioni si distinguono per uno spiccato momento di autonomia valutativa da parte del prefetto nel soppesare il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa.
L’esperienza ha dimostrato come le situazioni sintomatiche dei tentativi d’infiltrazione criminale non costituiscano un numero chiuso e sfuggano a un preciso inquadramento «per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso». Tra i fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare, perché potenzialmente rivelatori del condizionamento, si collocano anche i rapporti di cointeressenza economica con soggetti malavitosi o imprese già colpite da provvedimenti antimafia, secondo la teoria del «contagio». Nella vasta casistica delle relazioni di impresa che possono venire in rilievo rientra anche quella particolare tipologia di forma associativa che è il consorzio.
La rilevanza attribuita a ciò dall’ordinamento si ricava proprio dall’articolo 85, comma 2, lettera b,) del Dlgs 159/2011, laddove dispone la riferibilità della documentazione antimafia anche ai consorziati che detengano una partecipazione pari almeno al 5 per cento. La norma, pertanto, va interpretata nel senso che, in siffatta ipotesi, il legame consortile non può essere derubricato a impegno occasionale, instabile o ininfluente, con la conseguente necessità di procedere a tutte le indagini del caso a prescindere dal numero degli operatori interessati.

L’iniziativa prefettizia
Oltre l’articolo 85, del Codice antimafia, altra cosa è l’insieme più esteso di quelli che possono essere sottoposti a controllo per iniziativa prefettizia. E infatti, l’articolo 91, comma 5, del Dlgs 159/2011 riguardo ai poteri officiosi del prefetto prescrive che questi «estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi delle imprese».
Ne discende che, a prescindere dalla misura della partecipazione al consorzio, spetta comunque al prefetto, nell’esercizio di un potere valutativo espressione di ampia discrezionalità, procedere a un approfondimento della vicenda associativa in presenza di indici sintomatici della comunanza di interessi criminali o di un illecito disegno di asservimento dello strumento consortile agli obiettivi delle organizzazioni mafiose.
Una diversa soluzione, del resto, consentirebbe a singoli imprenditori già attinti da sospetti di permeabilità mafiosa e, dunque, estromessi dal perimetro dei rapporti con le pubbliche amministrazioni, di eludere il divieto ricorrendo allo schermo di copertura del consorzio.

La nota del ministro dell’Interno

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©